L ’anno prossimo ci saranno le elezioni europee. La maggioranza di centrodestra è coesa ma in quell’occasione si vota col sistema proporzionale: ciascun partito andrà per conto suo. Fratelli d’Italia, Lega e quel che resta di Forza Italia dovranno farsi contare. Se cambieranno i rapporti fra di loro, per esempio se Salvini avrà recuperato un po’ dei voti persi a vantaggio di Meloni, potrebbe cambiare qualcosa anche nell’azione di governo e forse persino nella sua composizione. È questa la ragione per cui la sessione di bilancio si annuncia turbolenta.

L ’anno scorso il governo subentrò in corsa al governo Draghi. Questo fece sì che la legge di bilancio non portasse, per così dire, davvero la firma di Giorgia Meloni. Ma aiutò la premier anche a troncare sulla nascita ogni polemica: si doveva fare in fretta, non c’era tempo.Quest’anno il tempo c’è e i partiti hanno molte proposte, tutte costose. Pare che a sommarle si arrivasse alla cifra monstre di 80 miliardi.

Meloni e Giorgetti hanno sin qui contenuto le ambizioni degli alleati e cercato di produrre una finanziaria prudente. Scrivo “cercato” perché la prima reazione dei mercati non è stata buona: lo spread ha rialzato la testa, toccando i 200 punti. Il differenziale fra btp italiano e bund tedesco non raggiungeva quei livelli dal marzo del 2022. Nello stesso tempo, crescono i rendimenti dei btp a cinque e dieci anni: cioè lo Stato deve pagare di più a chi ne compri il debito a breve termine. Quando c’è qualche tensione sulla finanza pubblica italiana, lo si sente di solito nei titoli a breve. Nel lungo termine, i nostri creditori sono convinti (anche per le vecchie esperienze dei governi Amato, Dini e Monti) che il Paese possa essere rimesso in carreggiata in qualche modo. In un orizzonte di tempo più limitato, però, si va sulle montagne russe: e per questo bisogna remunerare di più chi ci dà fiducia.Le ragioni delle preoccupazioni sono presto dette. La discussione si è fissata su questioni di difficile comprensione per gli analisti internazionali (ad esempio, i tempi in cui verranno contabilizzati gli ammanchi per il “superbonus”). Quando hanno l’impressione di non capire appieno cosa sta facendo un Paese, gli operatori economici vanno alla “ciccia”: il fabbisogno dello Stato e il rapporto debito/PIL. Il rapporto debito/Pil è destinato, di fatto, a non scendere, nelle previsioni del governo. Che a loro volta si basano su una stima del tasso di crescita del Paese superiore a quella delle previsioni di consenso e sono forti di 20 miliardi di entrate da privatizzazioni. Il che è quantomai aleatorio, visto che l’esecutivo non sembra molto motivato a vendere pezzi di Stato imprenditore.La finanziaria è ancora da scrivere. Chi ama le leggi, come chi ama le salsicce, non dovrebbe mai andare a vedere come vengono fatte. Questo è vero soprattutto per la legge di bilancio, nella quale finisce di tutto, per soddisfare le pressioni di questo o quel territorio, di questa o quella lobby. Qualcosa resta fuori, e non è detto siano necessariamente le opere, i sostegni o i tagli meno utili. Sono semplicemente quelli che non hanno trovato il padrino giusto. Nelle prossime settimane, Giorgia Meloni dovrebbe tentare un esercizio di leadership. Fare un discorso di verità, nel quale dare atto delle difficoltà del momento, spiegare che l’euforia del Pnrr ci ha indotto a previsioni di crescita irrealistiche e che non possono essere confermate.L’alternativa è il solito scenario di una lunga maratona di richieste, con l’unico esito di rendere più precari i conti pubblici. I partiti potranno pensare che vada a loro vantaggio, in vista de lle europee. Ma quei benefici potrebbero essere più che compensati da una perdita di credibilità internazionale del governo. Sbaglia chi pensa che quest’ultima dipenda solo dall’allineamento geopolitico. Per un Paese indebitato come l’Italia, quello dei conti è un esame ineludibile.

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