“S olo fermando la corsa agli armamenti, che sottrae risorse per combattere la fame e la sete e per assicurare cure mediche a chi non ne ha, possiamo evitare l’autodistruzione della nostra umanità”. Così papa Francesco si è recentemente espresso in occasione del sessantesimo anniversario dell’enciclica Pacem in terris (Pace in terra) di San Giovanni XXIII. Il richiamo all’invito giovanneo ad “avere il coraggio di disarmare i cuori, smilitarizzarli, di eliminare il veleno e il risentimento” appare quantomai opportuno e rappresenta una preziosa occasione di riflessione.

N ello scenario di un mondo nuovamente diviso persistono dunque le medesime esigenze enunciate da una delle più importanti encicliche sociali. Certo, a decenni di distanza, oggi può apparire estremamente difficile apprezzare pienamente l’impatto della Pacem in terris.

Nei primi anni Sessanta la Guerra fredda tra Occidente e Blocco sovietico raggiungeva l’apice: nel 1961 era stata avviata la costruzione del Muro di Berlino per impedire ai “fascisti occidentali” la possibilità di “contaminare” gli stati socialisti dell’Europa orientale. Il pericolo di una guerra nucleare era veramente percepito come imminente, come testimoniavano le esplosioni di oltre trenta bombe nucleari testate dall’Urss, tra cui la famigerata “Bomba Zar”, il più grande ordigno termonucleare mai esploso, molto più potente di quelli sganciati su Hiroshima e Nagasaki. Nel 1962 gli Stati Uniti risposero alla “propaganda sovietica” facendo esplodere ordigni nucleari al ritmo di uno ogni cinque giorni, tuttavia, il culmine dell’apprensione mondiale venne raggiunto nelle ultime settimane di ottobre: mentre a Roma si apriva il Concilio Vaticano II, l’attenzione del mondo era concentrata sul mar dei Caraibi, dove era in corso una pericolosa situazione di stallo tra Stati Uniti e Unione Sovietica che lasciava presagire un’imminente guerra nucleare. In questo contesto si inserì l’appello pubblico per la pace lanciato da Giovanni XXIII: nella speranza di evitare una catastrofe, pregò “tutti i governi di non rimanere sordi” al “grido dell’umanità” e li esortò a compiere “tutto ciò che è in loro potere per preservare la pace”. L’appello, rilanciato sulle colonne della Pravda, contribuì alla risoluzione della crisi missilistica cubana e il Papa si impose come una figura di assoluto rispetto sia per la capacità di aprirsi verso l’altro, come testimoniò il riconoscimento del Time a “uomo dell’anno” per il 1962, sia per la disponibilità al dialogo, civile e religioso; consapevole dei profondi legami tra la fede cristiana e quella ebraica, eliminò l’espressione “perfidi ebrei” dalla preghiera tradizionale del Venerdì Santo.

In una situazione in cui il confronto nucleare era percepito come una concreta minaccia per l’umanità, Giovanni XXIII consegnò al mondo la Pacem in terris: indirizzato a tutte le persone di buona volontà, il documento avvertiva l’urgenza di riconoscere un bene comune universale rivolto a tutti gli uomini, chiamati a costruire un nuovo ordine mondiale sui pilastri della verità, giustizia, libertà e dell’amore. Si trattava di un’enciclica permeata di un allora non comune senso di inclusione, che suscitò un’ampia attenzione soprattutto per l’affermazione della dignità di ogni persona umana e per la dettagliata descrizione dei diritti umani che derivano da tale riconoscimento.

Nell’ultimo anno gli incessanti appelli di papa Francesco per la pace in Ucraina, conflitto che più di tutti rievoca gli angosciosi momenti di sessant’anni fa, tanto per il potenziale distruttivo della guerra che per la continua, incessante e strumentale propaganda ideologica a cui è soggetto, riprendono le posizioni del magistero di papa Roncalli nei confronti della guerra. Ciò che appare necessario è riaffermare con forza l’idea espressa dalla Pacem in terris secondo cui una pace vera e duratura può essere costruita solo nella fiducia reciproca perché, come ribadito da Francesco, la vera pace non può nascere né dalla paura né deve basarsi su un equilibrio paritario di armi pronte all’uso. Solo recuperando la pace, la solidarietà e l’inclusione come principi cardine della convivenza civile si potrà contribuire a far diradare i fumi dei tanti focolai di guerra ancora presenti, i “tanti 'pezzi' della terza guerra mondiale che purtroppo stiamo vivendo”, e onorare così pienamente la memoria dell’enciclica giovannea.

Università di Cagliari

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