N on ci sembra vero che arrivati a oggi stiamo per conoscere una penuria d’energia e blocchi di corrente, che il chilowattora abbia raggiunto quotazioni da gioielleria come peraltro il nostro pane, e che la nostra “spensieratezza energetica” (per decenni abbiamo detto no a tutto, da bambini viziati quali siamo) presenti oggi un conto salatissimo, devastante.

Quel che succede non ci sembra vero, dicevo, anche perché ci hanno sottaciuto la verità: che l’Unione Europea è il più grande importatore di energia al mondo (400 miliardi all’anno per approvvigionare il 50% dell’energia che consuma come un ragno insaziabile); che l’Italia ha raggiunto l’invidiabile record del 78% di dipendenza dalle importazioni complessive di energia; che sempre l’Italia è il più grande importatore di energia elettrica al mondo in quanto acquista il 15% della propria elettricità, la maggior parte proveniente dal nucleare francese. Prendo fiato pensando con tristezza ai tanti Comuni italiani che si vantano di essere “denuclearizzati” – chi glielo ha detto? E chi ha nascosto loro che in un raggio di 200 chilometri dai confini italiani sono attivi 27 impianti nucleari tra Slovenia, Germania, Svizzera e Francia?

N ella rappresentazione delle cinque fasi necessarie per elaborare una perdita (rifiuto, rabbia, contrattazione, depressione, accettazione), noi siamo ancora alla prima, alla strenua negazione della realtà. E ci riusciamo molto bene, peraltro, essendo stati per decenni (dis)educati a non vedere quello che ci stava succedendo intorno: la distruzione sistemica della formazione a tutti i livelli; il tracollo della sanità pubblica; la colpevolizzazione dell’economia, dell’impresa e del lavoro; il plafonamento delle retribuzioni e lo svuotamento delle pensioni; il trionfo della burocrazia (l’inefficienza della pubblica amministrazione è una delle voci rilevanti della nostra sconfitta, superiore anche all’economia sommersa).

Qualsiasi sottosistema del vivere civile – si pensi solo alla giustizia – funziona male, afflitto dalle stesse tare di un corpo di settant’anni che non è mai cambiato se non per decadimento. L’unica cosa che procede come un orologio è, non scherzo, il campionato di calcio: ci raccontano che qualcuno facesse arrivare in tempo i treni; noi possiamo contare sull’organizzazione e puntualità delle partite, una certezza. E anche questo fatto non è casuale: per allontanare la rabbia, fase due dell’elaborazione della perdita dell’essere un Paese moderno, è indispensabile non lesinare sull’intrattenimento, sul futile, sul virtuale. Si spiega cosi l’esplosione indiscriminata dell’assistenzialismo, arte nella quale siamo maestri (anche cancellare il nucleare per importare energia dal nucleare è assistenzialismo), e del “mondo di mezzo”, reso abnorme da collusioni e sprechi.

Peccato che tutto questo presenti il conto del debito pubblico arrivato quasi al 160% del Pil, segno inequivocabile dell’aver vissuto al di la delle nostre possibilità; peccato che i fornitori di materie prime abbiano visto lo speciale su Wanna Marchi e si siano fatti furbi; che a credere alla nostra ingegnosità siano rimasti pochi e che anche il mondo del calcio, ultima speme, sia vicino all’insolvenza (chi crede ai numeri legga i bilanci).

Comune denuclearizzato? Cambiamo cartelli e scriviamo: “Comune in spopolamento, privo di medici di base e di scuole, intristito da disoccupati, sottoccupati e giovani depressi che non studiano e non lavorano”. È più onesto.

Ma non tutto è perduto, suvvia, ci rimane il salto nell’iperspazio. Incapaci non solo di affrontare un dissesto idrogeologico che urla vendetta, ma anche di riparare le condotte d’acqua che disperdono circa il 50% delle risorse idriche (non infieriamo su Abbanoa, nostra fulgida bandiera), si è deciso – o meglio, accettato, noi non decidiamo – di sposare tout court la transizione ecologica. Ancora una fuga dalla realtà? Nossignore, è il nostro radioso futuro: importeremo litio dalla Russia, metalli rari dalla Mongolia, batterie dalla Cina, elettronica dalla Corea, biotecnologie da Singapore e sistemi eolici e fotovoltaici da mezzo mondo, ma i nostri figli faranno a meno dei combustibili fossili e vivranno in un mondo tutto verde, senza lavorare troppo e deprimersi. Non abbiamo che da in vocare, come sempre fatto, la nostra provvidenza manzoniana.

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