A ll’età di 73 anni, sua maestà Carlo III - re del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, oltre che dell’Australia e di un’altra dozzina di reami del Commonwealth – comincia la sua partita di regnante in una posizione complicata. A metterlo in scacco è il paragone con la regina perfetta che lo ha preceduto sul trono. “Non sarà all’altezza di sua madre” è la frase che in molti pensano, ma che in pochi osano pronunciare. E d’altra parte il suo primo discorso alla nazione in qualità di sovrano è parso fragile e rivelatore di una sottesa insicurezza.

I n particolare, dopo aver annunciato a tutti gli abitanti del Regno Unito e del Commonwealth che sarebbe stato al loro servizio “con lealtà rispetto e umiltà”, re Carlo III si è affrettato ad aggiungere che, naturalmente, l’ascesa al trono avrebbe cambiato la sua vita e che, pertanto, non sarebbe più stato possibile assegnare tanto tempo ed energie alle opere di beneficenza alle quali, fino ad allora, si era intensamente dedicato. Ha poi precisato che avrebbe riposto quell’importante impegno in mani fidatissime.

Ma perché mai un sovrano, nel suo primo breve discorso alla nazione, dovrebbe sentirsi in dovere di porre tanta enfasi sulle opere di beneficenza alle quali si è dedicato nel corso della propria vita? Non sarebbe forse questa una maniera molto sottile di mettere in luce uno dei suoi meriti: quello di essersi occupato con ammirevole costanza dei più deboli? Un modo per autoincensarsi, insomma, una malcelata forma di modestia utile a ricordare ai propri sudditi che, a conti fatti, il nuovo re è una brava persona. Era davvero necessario farlo, così presto, nel primo discorso alla nazione?

Intanto il telegiornale della BBC si affretta a mandare in onda frequenti servizi dedicati alla regina consorte Camilla, un tempo definita dai tabloid inglesi “la donna più odiata d’Inghilterra”, oggi dipinta come una figura fondamentale per la felicità e l’equilibrio del sovrano: ma soprattutto, una donna impegnatissima nella causa delle violenze domestiche contro le quali lotta da tempo e con ferrea convinzione. Al riguardo si potrebbe facilmente obiettare che la violenza domestica può essere anche di natura psicologica: come, per esempio, intromettersi nel matrimonio degli altri e portarlo alla rovina. Al riguardo, i sudditi “casualmente” intervistati tra chi, lunedì scorso, si affollava fuori dalla Cattedrale di St. Giles a Edimburgo – in fila da ore pur di chinare la testa in segno di rispetto davanti al feretro della regina Elisabetta II – hanno sempre avuto parole di grande entusiasmo verso la nuova coppia reale.

Dimenticare il passato. Guardare al futuro. Carlo III non è più Principe di Galles, ma è diventato re. In obbedienza ai principi costituzionali, le sue opinioni politiche – più volte espresse nel corso della propria vita – non potranno più essere manifestate e il nuovo ruolo di sovrano imporrà nuovi standard di comportamento e nuove regole che dovranno essere fermamente osservate. La partita del confronto con Elisabetta II è inevitabilmente persa in partenza. Occorre però offrire a re Carlo III una chance: quella di essere giudicato obiettivamente e senza pregiudizi per tutto ciò che farà – o non farà - nel ricoprire il suo nuovo ruolo di sovrano.

Durante la breve veglia funebre davanti al feretro di sua madre, a Edimburgo, lo stretto primo piano che tutte le televisioni del mondo hanno mandato in onda ha rivelato lo sguardo impassibile e imperscrutabile di un figlio che sembra sentire sulle proprie spalle il tormentoso peso di una sco nfitta annunciata.

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