S i pensa talvolta che l’imprevedibilità della giustizia penale colpisca di più le persone in vista: politici, imprenditori, uomini d’affari, insomma chi “si fa notare” e naviga in mare aperto. È figlia dello stesso pregiudizio l’idea che alla base di una condanna, soprattutto eccellente, “qualcosa ci sarà”, magari l’aver camminato sul confine delle norme, con spregiudicatezza morale: per cui, rigando dritto e limitandosi a navigare sotto costa, non può succedere niente.

Quest’illusione rassicura il cittadino comune.

E lo porta a percepire con distacco, se non fastidio, ogni denuncia degli eccessi del diritto penale, bollata come “garantismo”. Si è portati, insomma, a pensare che il problema riguardi altri, toccando – salvo casi tragici d’ingiustizia, la cui rarità confermerebbe la regola – tipologie umane assai peculiari, che hanno voluto volare troppo alto, così ricevendo la nemesi della loro superbia, monito che ci tramandiamo dall’infanzia nella sorte di Icaro, e in tante altre narrazioni della fallacia dell’astuzia e virtù della moderazione. Ed invece non è così: nessuno è al riparo. Ad esempio, anche costruire casa propria seguendo le regole nasconde insidie penali molto serie, e soprattutto imponderabili. Provate a seguirmi in questo breve percorso, meno tecnico possibile, prometto.

La legge punisce due tipi di abuso edilizio: il primo è costruire senza permesso, il secondo costruire in difformità dal permesso ottenuto. In breve, rischia la condanna penale, e con essa l’abbattimento della casa, sia chi costruisce senza richiedere ed ottenere dagli uffici comunali il permesso di realizzare uno specifico progetto edilizio, sia chi lo ha sì ottenuto, ma poi realizza un fabbricato diverso da quello autorizzato, ad esempio con più metri cubi, più stanze, più piani.

Dunque, chi mai può stare più tranquillo del cittadino che ottiene dalla pubblica autorità il permesso a realizzare il suo progetto, e poi lo realizza pari pari? Ecco, proprio questo è il punto in cui crolla l’illusione di una lealtà del sistema penale verso i suoi cittadini, e diventa spaventosamente concreta l’idea che il dialogo tra giustizia penale e società civile sia davvero interrotto, con le aule di giustizia che parlano lingue e seguono strade diverse da quelle della realtà quotidiana.

Pochi sanno, tra i non addetti ai lavori, che la Cassazione quotidianamente applica, da decenni, un terzo reato che la legge non prevede, in cui si condanna proprio un buon numero di persone che hanno ottenuto dalla pubblica autorità il permesso di realizzare il loro progetto, e poi lo hanno realizzato pari pari come autorizzato. Accade quando un inquirente rispolveri la pratica edilizia dal cassetto e faccia emergere, rifacendo i calcoli anche dopo anni dal permesso rilasciato, che l’amministrazione preposta si era sbagliata. Il permesso, sulla cui base la casa è stata già costruita con serenità, risulta dunque a posteriori illegittimo, e, conclude la Cassazione, va considerato come se in pratica non fosse mai esistito, determinando la condanna di coloro che lo avevano ottenuto, e la demolizione dell’edificio. Quando lo racconti, chi non conosce il problema ti guarda con occhi sgranati: “ma che colpa ne ha il cittadino?” “il privato ha avuto il permesso, e fatto affidamento sull’amministrazione!”. Sono questioni che sarebbero però inutili in aula: la risposta è che il cittadino è colpevole, perché avrebbe potuto pure accorgersi dell’errore dell’amministrazione. Un’assoluzione coraggiosa da parte di un giudice che – e non sono pochi – si renda conto dell’assurdità, poi, non se rvirebbe, perché la Cassazione rimetterebbe il caso sui binari della propria tesi.

Ecco il diritto penale che arriva inatteso, a tradimento, nella vita di tutti i giorni, a togliere la serenità, e persino la casa e i risparmi di una vita, lasciando magari da pagare i debiti verso la banca che aveva concesso il mutuo per la costruzione, a chi ha agito da cittadino modello, seguendo le prescrizioni della legge e dell’autorità. Re e pedine, imprenditori e dipendenti, politici o magistrati stessi, di fronte al diritto penale siamo tutti accomunati dall’essere, semplicemente, deboli.

La vera, ormai perdurante emergenza non è solo il contrasto alla criminalità, ma anche ridefinire quali fatti vi rientrino e quali no, obbiettivo difficile da inquadrare senza riallacciare un dialogo di senso tra aule di giustizia e società civile, riallineandone la visione del mondo.

Professore universitario e avvocato

© Riproduzione riservata