S i moltiplicano le proteste contro il governo di Mosca. Intellettuali, artisti, imprenditori prendono le distanze da Putin. Anche gli Atenei russi hanno preso coraggio e scrivono lettere di biasimo, corrisposti dai colleghi universitari di mezzo mondo. Compresi i nostri, riuniti, da poco, in una giornata di riflessione promossa dall'Università di Cagliari, con tanti contributi: sulle manipolazioni culturali perpetrate dalla Russia, sulla storia e cultura ucraine, sugli aspetti della cybersecurity, dei fabbisogni energetici, degli assetti economici.

E tanti attestati di solidarietà sono venuti verso coloro che stanno perdendo le proprie case, le proprie famiglie, la propria vita. Come in molti hanno evidenziato, questa crisi si poteva evitare. Sol che si fosse prestata attenzione almeno ai fatti del 2014: a quella annessione della Crimea e poi proclamazione di indipendenza delle due province del Donbass: Donetsk e Luhans’k. Eventi che non avvennero in modo legittimo e neppure incruento e che determinarono conseguenze irreversibili.

L'occupazione, da parte dei miliziani inviati da Mosca, dei territori oltre confine causò infatti l'esclusione dalla vita democratica del loro Paese di milioni di cittadini, scavando così un solco incolmabile in quella comunità e contribuendo a rafforzare e radicalizzare il sentimento nazionalista ucraino. Recisi i legami con la madrepatria, la stessa Russia si trovò a dunque a sostenere, con la propria spesa pubblica, stipendi e pensioni dei secessionisti: un vero capolavoro di miopia ed insipienza, a lungo andare insostenibile per gli stessi occupanti.

Da allora, le cose, se è possibile, sono ancora peggiorate, con svariate migliaia di vittime cumulate in otto anni. E quei fatti costituiscono, ancor oggi, un macigno sul futuro dell'Ucraina. È infatti illusorio pensare che Putin abbia mandato a morire decine di migliaia di persone, tra civili e militari, per restare a quanto già acquisito nel 2014. Oggi -è evidente- l'obiettivo è un avanzamento rispetto ad allora e non è un caso che città come Melitopol, Berdiansk e Mariupol siano già quasi sotto il controllo russo: servono a presidiare così tutta la fascia costiera del mare di Azov.

Addirittura, c’è da temere che Putin voglia andare oltre, acquisendo anche il corridoio sud, dalla Crimea verso la Transnistria, includendo Cherson, Mykolaiv e Odessa, la quale potrebbe diventare l’ultimo campo di battaglia, col rischio di un ulteriore disastro umanitario.

Purtroppo, non basterà la smilitarizzazione dell'Ucraina; non sembra interessare fino in fondo neppure la capitale Kiev. La minaccia di un’invasione totale è illusoria e così le supposte difficoltà che gli invasori starebbero incontrando nel realizzarla. Interessano invece territori ben precisi, in buona parte già occupati, tali da diminuire gli sbocchi strategici dell’Ucraina a vantaggio di una cintura di sicurezza in mano alla Federazione russa.

Occorre dunque fare presto e imporre a Putin di sedersi ad un tavolo negoziale allargato alla Nato (fors’anche alla UE). È l'unico modo per tentare di ridurre al massimo l'enorme prezzo che questa guerra rischia di infliggere al popolo ucraino.

© Riproduzione riservata