I l Pd sardo commissariato dai vertici romani, “balcanizzato”, ovvero diviso in gruppi e sottogruppi ostili tra loro. No, non è una buona notizia per i sempre meno iscritti, simpatizzanti e elettori di questo ex grande partito. Ma non lo è neanche per la comunità sarda. All’Isola, preda di una profonda crisi economica e sociale di cui non si intravede lo sbocco, servirebbero forze politiche forti, capaci di esprimere una classe dirigente all’altezza, di fare proposte e di prendere decisioni sui contenuti, anche su quelli più scottanti.

N on dimentichiamo che, stando all’alternanza tra centrodestra e centrosinistra alla guida della Regione da quando vige l’elezione diretta del governatore, nella prossima legislatura, 2024-2029, dovrebbe toccare al Pd. Ma questo Pd non è in grado di amministrare la Sardegna. Vediamo perché. Qualche giorno fa con una lettera inusualmente inviata al commissario e non al segretario regionale in carica, Emanuele Cani, il coordinatore della segreteria nazionale, Marco Meloni, e il responsabile nazionale Organizzazione, Stefano Vaccari, hanno certificato la crisi del Pd sardo, incapace di gestire primarie e congresso regionale. Toccherà a Enrico Borghi coordinare il tesseramento, lanciare la campagna congressuale e sovrintendere alle candidature per le Comunali di primavera.Qualcuno ha applaudito al commissariamento (i lettiani) qualcuno lo ha definito «una vergogna». In ogni caso, è il segno del disfacimento di un grande partito. Qualcosa si era intuito, specie a livello locale. A Sassari, i maggiorenti piddini hanno mandato giù il boccone amaro della candidatura di un magistrato prestigioso, Mariano Brianda, presidente della sezione di Corte d’Appello, ma poi gli hanno fatto la guerra sotterranea, agevolando la vittoria del civico di destra Nanni Campus.

A Nuoro Andrea Soddu ha vinto dopo essersi sfilato dal partito e aver corso in contrapposizione a esso, stessa cosa a Quartu, dove Graziano Milia ha battuto il candidato del Pd al primo turno e quello di centrodestra al ballottaggio.

I dem sardi pagano l’incertezza sui grandi temi di fondo: energia, paesaggio, sviluppo. Si fa fatica a comprendere quale sia la linea del Pd. Sull’istituzione delle nuove Province, per esempio, il partito si è spaccato. Insomma, una guerra per bande che porta niente di buono. La linea politica dem ha una forte volatilità anche a livello nazionale. Nato in una logica bipolare, il Pd si è pian piano riavvicinato al proporzionale. Nel post rielezione di Mattarella, quando ha fatto irruzione nel dibattito la riforma della legge elettorale, non pochi esponenti dem si sono schierati per il ritorno al proporzionale. Un tuffo in un passato segnato dall’ingovernabilità e dai giochetti parlamentari.

Il Pd ha perso l’anima. Un segnale chiaro è venuto nel gennaio 2015, quando l’allora segretario Renato Soru decise di trasferire la sede regionale da via Emilia, quartiere Is Mirrionis, a una palazzina tanto elegante quanto snob di viale Regina Margherita. Due anni più tardi, nel “cuore rosso” (o ex?) di Cagliari, apriva la sede Forza Nuova, formazione di estrema destra, xenofoba e razzista ma più radicata nei rioni popolari di quanto non sia il Pd. Incredibile ma vero. Poi il segretario Cani ha posto rimedio ma il campanello d’allarme è rimasto inascoltato.

Nel Pd sardo si agitano tante anime: quella di Cabras e Fadda; i soriani; il nuovo gruppo organizzato intorno alle figure di Emiliano Deiana e Romina Mura. Il preferito, almeno così sembra, del neo commissario Borghi. Egli, infatti, entrando a gamba tesa nel dibattito sulla presidenza Anci, ha espresso i l suo favore verso Deiana, senza tenere conto che nell’Anci è di rigore individuare soluzioni unitarie e non divisive. Grande è la confusione sotto il cielo. Quella che un tempo era la “Balena rossa” rischia di spiaggiarsi. Ammesso che non lo abbia già fatto.

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