L e grandi lealtà politiche del passato sono un ricordo. La maggior parte delle persone decide il giovedì come votare la domenica. Questo per dire che è opportuno non sopravvalutare le indicazioni dei sondaggi. E tuttavia nelle indagini demoscopiche il centrodestra pare avere un vantaggio importante. Nel centrodestra, il partito con più consenso pare essere quello di Giorgia Meloni che, essendo stata all’opposizione dal 2011 a oggi, vanta una coerenza che i suoi partner non hanno potuto permettersi.

Appena poche settimane fa, prima della caduta del governo Draghi, Meloni era quasi coccolata dalla stampa e il leader del Partito Democratico, Enrico Letta, partecipava volentieri con lei ai dibattiti più diversi.

Ora scatta invece il riflesso condizionato: attenti al pericolo fascista.

Sono tre i pregiudizi negativi che vengono puntati contro Meloni. Il primo attiene al suo passato. Fratelli d’Italia è sorto per iniziativa di esponenti di Alleanza Nazionale che uscirono dal PdL di Berlusconi (non tutti: Maurizio Gasparri, per dirne uno, rimase in Forza Italia) e dunque è l’erede del partito che era l’erede dell’Msi che a sua volta era l’erede del Partito nazionale fascista.

O ggi, questo pregiudizio appartiene al piano della propaganda. Meloni ha quarantacinque anni, ha cominciato a fare politica in un movimento sociale già ampiamente “defascistizzato” e non coltiva il sogno di fare dell’aula di Montecitorio un bivacco di manipoli. A giocare la carta del “pregiudizio antifascista” sono quei partiti che pensano, così, di mobilitare in modo massiccio i propri elettori.

Il secondo pregiudizio riguarda invece le cose che Meloni dice. Fratelli d’Italia si definisce un partito “conservatore” ma questa parola, come tutte le grandi parole della politica, può significare cose diverse. Nella tradizione anglosassone i conservatori sono scettici nei confronti del potere politico, guardinghi rispetto ai suoi abusi, prudenti quando c’è da impiegare denaro pubblico. Negli ultimi anni, però, a unire almeno in Europa i partiti cosiddetti conservatori sono questioni di altro tipo: ovvero le battaglie contro l’immigrazione e a difesa della famiglia “tradizionale”. Si tratta di posizioni populiste, proposte facendo appello agli istinti non necessariamente migliori delle persone. Ma è difficile convincere queste ultime di argomenti di segno diverso, sostenendo semplicemente che alcune idee non dovrebbero nemmeno essere profferite, all’interno del dibattito pubblico. Il secondo pregiudizio dunque non ha a che fare con Meloni ma coi suoi elettori. Costoro hanno diritto di avere opinioni retrograde quanto si vuole, ma che nondimeno sono le loro opinioni? L’ambizione di imbavagliare gli elettori degli avversari difficilmente porta bene ai partiti politici e tradisce un approccio ancora più illiberale di quello che si vorrebbe circoscrivere, limitare, sterilizzare.

Il terzo pregiudizio negativo riguarda invece proprio Giorgia Meloni e il ceto politico di Fdi. Nel 2018, l’establishment non aveva più simpatia per Salvini di quanta ne abbia ora per Meloni. Ma Salvini, per quanto personalmente avesse zero esperienza di governo, capeggiava un partito che aveva amministrato città e regioni nelle aree più ricche del Paese per più di vent’anni. C’era, nella Lega, un patrimonio di esperienza, identificato con personaggi come Giogetti e Zaia, difficilmente liquidabile con una alzata di spalle. FdI è diverso. In questo, più che in ogni altra cosa, somiglia all’ex Msi: di fatto è lontano da esperienze di governo significative, anche perché, dove è al potere assieme al resto della coalizione, con l’eccezione della Sicilia, lo è come partner “junior”. Meloni stessa ha fatto una volta il ministro, nel quarto governo Berlusconi. Ma delle politiche giovanili, non dell’economia o degli esteri.

Questo terzo pregiudizio negativo è il più serio, quello che peggio può fare a Meloni dopo un’ipotetica vittoria elettorale, quando banche d’affari e fondi d’investimento passeranno ai raggi x lei e la possibile compagine di governo. C’è forse un modo in cui Meloni può superare l’ostacolo. Mentre nel 2018 nel centrodestra si diceva che il leader del primo partito avrebbe fatto il premier, lei tende a dire che il primo partito “indicherà” il p rimo ministro. Un dettaglio non da poco.

E se Meloni, vincitrice delle elezioni, anziché proporre se stessa mettesse gli alleati davanti a un altro nome più istituzionale e rodato? Spariglierebbe e risolverebbe, lei, il problema di reputazione che altri stanno creando attorno alla sua persona. Preparando credenziali più limpide per un prossimo governo che, com’è noto, in Italia a un certo punto arriva sempre.

Dei tre pregiudizi usati contro di lei, Meloni sa che il primo è propaganda usurata, il secondo coinvolge più i suoi elettori che lei, solo il terzo è un’arma affilata. Vedremo come riuscirà a proteggersi.

Direttore dell’Istituto “Bruno Leoni”

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