L a buona notizia è che non siamo troppi: otto miliardi di persone non consumano tutte le risorse del pianeta e non rendono catastrofica la crisi climatica. L’ultimo rapporto del Fondo Onu per la popolazione contrasta le teorie allarmistiche sulla crescita della popolazione globale. Ma non solo. Ridimensiona anche le preoccupazioni di chi in certe aree teme il declino demografico e perfino su chi valuta insostenibile la pressione migratoria. Temi di strettissima attualità che coinvolgono la natura stessa dell’essere umano e inevitabilmente accendono polemiche.

B isognerebbe cercare di leggere il rapporto del Fondo dell’Onu con la mente sgombra dalle ideologie e guardare innanzitutto gli aspetti positivi: 8 miliardi di persone nel mondo sono segno di progresso perché significa che meno bambini muoiono di fame e malattie. La diminuzione delle nascite in alcune aree del globo testimonia invece come gli esseri umani siano sempre più in grado di controllare le proprie scelte riproduttive. Peraltro, sottolinea lo stesso rapporto, nulla dimostra che un tasso di fertilità pari al 2,1% si traduca in più alti livelli di benessere.

Se non fossimo concentrati sul piccolo mondo attorno a noi dovremmo sentirci confortati. Ma ci sono i nostri numeri, così diversi. In Italia il tasso di natalità più alto raggiunge l’1,35 % in Sicilia, in Sardegna si registra il più basso con lo 0,95, ed è allora normale stupirsi davanti alla giovane coppia di Osini con cinque figli e tanto entusiasmo. Questi numeri sono al centro del dibattito politico che, al netto della rissa su vignette brutte, propone soluzioni accolte col solito tifo da stadio: una curva applaude, l’altra fischia. Intanto un sondaggio definisce preoccupati 8 italiani su 10, genitori e non.

Tagliare le tasse per le coppie che fanno figli è certo d’aiuto a chi li ha, ma è difficile che riesca a convincere i giovani a mettere su famiglia, non sembra insomma un provvedimento che possa incidere sul futuro immediato. Per sgombrare il campo da possibili dubbi: ogni provvedimento che tenda a conciliare figli e lavoro come gli asili nido, la flessibilità degli orari, il congedo per maternità in egual misura per uomini e donne è importante, ma non risolutivo. Anche invertire il trend del lavoro femminile (in Italia trova occupazione il 51 % delle donne, oltre dieci punti percentuali in meno rispetto alla media europea) sarebbe auspicabile nel brevissimo termine. Anche perché questo numero straccia la retorica secondo cui le donne che non lavorano fanno più figli: le italiane lavorano meno e sono meno prolifiche.

Per cambiare rotta e sperare che le nascite almeno compensino le morti bisogna modificare la prospettiva e immaginare una società diversa. Questo non vuole dire (soltanto) pensare a reali processi di inclusione di chi arriva da altri Paesi con famiglie più numerose delle nostre, o rendere più semplici le adozioni internazionali, altro passo da fare. È, piuttosto, indispensabile soffermarsi su un dato culturale (il che non implica negare l’impossibilità di mettere su famiglia causa stipendi da fame, contratti precari e prezzi alle stelle): una realtà che fingiamo di non vedere va al di là del lavoro che non c’è e se c’è è sottopagato e se sei donna è pure peggio perché la maternità in troppe aziende è malvista e tante dipendenti devono scegliere, altre dopo il primo parto lasciano. Guardiamoci intorno: le coppie stabili sono sempre meno, figurarsi quelle che vogliono figli. Succede perché tutto quello che ruota attorno a noi e ci bombarda attraverso tv, social e mezzi di comunicazione di massa ci spinge verso una società dove non è il nucleo familiare al centro, ma la persona, il singolo. La mancanza di risorse ci ha portato a chiuderci in noi stessi per cercare il maggior benessere possibile in un contesto che specie per i giovani è più povero rispetto a quello delle generazioni precedenti. Va da sé che non bastano una legge o un appello: ragazzi, riproducetevi perché una popolazione che invecchia spende di più in welfare e la mancanza di ricambio generazionale inciderà sulle pensioni. I giovani lo sanno. Ma viviamo immersi in questa realtà. Più risorse, più lavoro, più attenzione verso le donne, sì: ma se non cambiamo visione per costruire una nuova società difficilmente ne verremo fuori.

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