N egli anni Novanta gli italiani si erano convinti che la legge elettorale potesse, di per sé, determinare l’offerta politica. In larga misura, si trattava di una illusione ottica. Però non priva di un elemento di verità.Il maggioritario ci portò, pur senza modifiche costituzionali, a scegliere il capo del governo alle urne. All’epoca la Legge Mattarella prevedeva per il 75% collegi uninominali. Pure in un’Italia dove le lealtà politiche erano più solide di quanto non lo siano oggi, ciò produceva grandi mal di pancia ai leader di partito. L’uninominale obbliga comunque a un confronto fra candidati. Ciò significa doversi sforzare per reperire personalità note e apprezzate. Qualcuno di loro magari si mette persino in testa di far carriera.Il problema venne risolto col cosiddetto “Porcellum”: legge proporzionale, liste bloccate, premio di maggioranza. Diventavano inimmaginabili dei momenti di comunicazione politica nei quali il leader nazionale non fosse al centro della scena. I candidati erano figurine di fatto intercambiabili.Da allora abbiamo avuto l’Italicum prima (prodotto di una sentenza della Corte Costituzionale) e il Rosatellum poi. Non votiamo più pensando di scegliere il premier, siamo di fatto tornati al proporzionale.

Le leggi elettorali non sempre hanno le conseguenze che immaginano i loro estensori. Prendiamo il Rosatellum: quest’ultima legge è stata architettata dai “centristi” Berlusconi e Renzi per sbarrare la strada ai populisti Salvini e Di Maio.

C om’è noto, nel 2018 ci ha regalato il governo giallo-verde. Si tratta della legge tutt’ora vigente, ma per un Parlamento molto più piccolo. E probabilmente a settembre ci dimostrerà che se è esagerato pensare che le regole del gioco forgino di per sé l’offerta politica, la loro influenza è rilevante. La nuova Camera avrà 400 membri e il nuovo Senato 200. 147 deputati e 74 senatori verranno eletti in collegi uninominali (di dimensioni molto grandi, che rendono inimmaginabile un confronto “di collegio”, fra candidati).

È stato già osservato che la il Rosatellum favorisce il centrodestra, per una semplice ragione: il centrodestra, che corre unito, parte in netto vantaggio proprio nei collegi uninominali, dove due o tre forze politiche (Pd, centristi, Cinquestelle, che potrebbero o meno trovare strategie di aggregazione) si disputeranno il resto dei voti.È vero che oggi l’elettorato è molto più mobile che in passato, che le persone scelgono chi votare nell’ultima settimana, che c’è il bacino del non-voto da cui un po’ tutti sperano di pescare. Ma Meloni, Salvini e Berlusconi dovrebbero mettersi di buzzo buono per buttar via un vantaggio simile.

Ciò non significa che la scelta dei candidati non sia importante. Per quanto bene possano andare le elezioni, la riduzione del numero di deputati e senatori significa che tutte le compagini parlamentari, con eccezione di quella di Fratelli d’Italia, saranno più piccole. Se non si può assicurare la rielezione a chi in Parlamento c’è già, è improbabile che si possano attrarre forze nuove. E il centrodestra ne avrebbe molto bisogno.È interessante vedere cosa avverrà fuori dal centrodestra. La scissione del “campo largo” implica per il Pd di Enrico Letta la rinuncia di fatto ai collegi uninominali, con l’eccezione di qualche strapuntino nell’Italia centrale. In questo caso, l’interpretazione delle opportunità offerte dalla legge elettorale ha chiare ripercussioni sul programma. Il Pd può andare da solo, perseguire un’alleanza coi centristi, rappattumare un accordo coi Cinquestelle. L’ultima è, sulla carta, l’unica strategia che consentirebbe di essere competitivi almeno in qualche collegio uninominale. È anche una soluzione molto lineare: si riproporrebbe un’alleanza che è durata due terzi della scorsa legislatura e sulla quale il segretario del Pd ha investito molto, posizionando il suo partito su coordinate più “di sinistra” delle precedenti.Un’alleanza coi Cinquestelle obbligherebbe però Letta a “compensare” al centro con candidature che rassicurino quel che resta dell’anima moderata dei Dem. A deciderne il fato non sarà probabilmente lo sdegno per la caduta di Draghi ma i sondaggi: quanti seggi farebbe guadagnare ricucire con Conte? Il gioco vale la candela?Un accordo coi centristi potrebbe piacere proprio alla sinistra del Pd, la “ditta” dell’ex Pci, che così avrebbe campo libero per spostare il baricentro del partito ancor più a sinistra. Ma per allearsi con qualcuno bisogna anzitutto avere chiaro chi sia.Al centro ci sono grandi manovre ma non è evidente dove porteranno. Carlo Calenda, che è l’interlocutore del Pd, pare determinato a non imbarcare Matteo Renzi. Il primo oggi è sicuramente più popolare del secondo. Per la sua esclusione da un “fronte repubblicano” appare difficilmente giustificabile, anzitutto perché Mario Draghi presidente del consiglio è uscito dal suo cilindro: si può correre in nome di Draghi ma contro chi più di tutti lo promosse?La polverizzazione del centro potrebbe rendere ancora più difficile il percorso di partiti che alle scorse elezioni non esistevano e che hanno un mese per fare conoscere il proprio simbolo.

Direttore dell’Istituto “Bruno Leoni”

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