I l riconoscimento in Costituzione del grave e permanente svantaggio naturale derivante dall’insularità inaugura un’epoca nuova, che ambisce a garantire il reale godimento dei diritti, individuali e inalienabili, di ciascun abitante della Sardegna: senza più svantaggi rispetto agli altri italiani. Si tratta di un traguardo straordinario: ma noi siamo veramente pronti a questo cambiamento? Siamo decisi ad approvare nella nostra costituzione interiore un nuovo comma che ci liberi da quel provincialismo nel quale, da sempre, ci crogioliamo?

È un risvolto psicologico non da poco, una sorta di Sindrome di Stoccolma, ovvero, quell’assurdo stato mentale che, talvolta, interessa le vittime di sequestri e abusi ripetuti: le quali - paradossalmente - cominciano a nutrire sentimenti positivi nei confronti del loro aguzzino, e a provare piacere per lo stato di reclusione in cui si trovano. Non posso avere diritti paritari rispetto agli altri italiani? Vivo da sempre in una condizione di svantaggio che rallenta a 360 gradi lo sviluppo sociale ed economico della mia isola, limitando le mie opportunità? E se, per non soffrirne più, trasformassi questa condanna in una scelta? Sarei io, allora, a esaltare la mia condizione di isolamento. Sarei io ad affezionarmici: fino a trasformare quello stesso isolamento – con tutti i suoi svantaggi e le sue limitazioni – in un’orgogliosa scelta.

Insomma: il fatto che la porta di un carcere sia stata finalmente aperta non significa che tutti i prigionieri intendano attraversarla volentieri, per affrontare – dopo tanta reclusione – l’impatto con la libertà. L’autoreferenzialità di cui è intrisa la letteratura sarda – del resto - non è forse lo specchio di un popolo che, per non subire l’isolamento imposto, si è convinto di averlo scelto? Insomma, Umberto Eco era piemontese: ma non per questo si è sentito in dovere di ambientare “Il nome della rosa” ad Alessandria. Quando, alla fine del secolo scorso, intervistai lo scrittore Salvatore Mannuzzu mi disse che “le identità si proclamano soltanto quando sono in crisi”.

A distanza di più di vent’anni, quella frase fa riflettere sul labile confine tra identità e prigionia. Come ben osserva il professor Tommaso Edoardo Frosini in suo articolo, “la specialità delle isole si manifesta in un’identità e in tradizioni culturali del tutto peculiari e con sentimenti di appartenenza molto spiccati”.Attenzione, dunque, a non confondere il dovere e il privilegio di preservare la nostra identità e le nostre tradizioni con il diventarne vittime: trasformandole in un paraocchi o, peggio ancora, in un carillon che rischia di ripetere all’infinito lo stesso motivetto musicale.

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