R ieccoci, si comincia la legislatura ballando sugli scranni e contando morti e feriti, con “la guerra della Ronzulli”. Ovvero quella che Forza Italia ha inaugurato per difendere la candidatura a ministro della fedelissima di Berlusconi.

Il nuovo ciclo della politica, dunque, comincia con il più antico dei giochi, un agguato andato a vuoto nel voto per la presidenza del Senato, una guerra civile dentro la colazione dei vincitori, con un killer aggio mancato, e con un vecchio lupo della politica, Ignazio La Russa che porta a casa la pelle, malgrado il tiro di precisone dei franchi tiratori azzurri.

Silvio Berlusconi si esercita dunque nel “fuoco amico”, e Matteo Renzi pure, ciascuno rompendo i ponti con il proprio mondo di appartenenza. Ed è vero che l’ex sindaco di Firenze - a frittata fatta - negava di aver sostenuto la candidatura di La Russa, ma era chiaro a tutti che con una abile e spregiudicata giravolta si è già posizionato nel nuovo mercato della politica. Una giornata a suo modo epocale, quella di ieri: si comincia con un video choc, il “vaffa” sibilato in piena leggibilità labiale dal Cavaliere al suo ex ministro aennino, e una matita sbattuta sullo scranno. Si prosegue con la sorpresa avvelenata nello scrutinio.

C erto, nella politica italiana un nuovo inizio può anche partire da una brutta fine: ma c’è davvero qualcosa di malinconico nello spettacolo di questo Berlusconi claudicante che torna in Senato in equilibrio precario (fisico, ma anche giudiziario) e in una serata di gala istituzionale si traveste da Clemente Mastella, ritrovandosi a scatenare la sua nuova guerra dei mondi per una poltrona: il mio regno per Licia Ronzulli. Possibile?

Risultato finale: diciannove voti che ballano nella Camera alta del Paese. C’è un tentato omicidio, dunque, ma non ci sono gialli da risolvere, neanche stavolta, come nel caso dei “centouno” voti del 2013 contro Romano Prodi (anche in quel caso i renziani lasciarono le impronte digitali negando il cecchinaggio, ma portando a casa l’obiettivo politico).

Ed ecco quello che è successo ieri, nel segreto dell’urna: i forzisti hanno disertato, Carlo Calenda ha mangiato la foglia e ha fatto astenere i suoi (per poter dimostrare che gli azionisti non avevano tradito la consegna). Servivano dunque dei numeri al nuovo centrodestra della Meloni, che per via di questa mossa si è ritrovata ad affrontare la sua prima prova di governo, anche se apparentemente tutto avveniva su un voto che sarebbe dovuto essere puramente istituzionale.

Ed ecco il pallottoliere: metti tutti gli eletti dei renziani, metti tutti gli autonomisti e metti i variopinti avventori del gruppo misto, e dal conto della votazione sul Presidente restano fuori altri otto voti di margine per La Russa, che quindi sono arrivati dal Pd o dal M5S (improbabile) o dai senatori a vita che seguono la consuetudine repubblicana, da singole relazioni dirette del nuovo presidente del Senato (più probabile).

Ma la battaglia inaugurale di Palazzo Madama recapita alla nuova maggioranza tre lezioni importanti per questa legislatura. La prima: “la guerra della Ronzulli” lascerà delle tracce profonde che non si estinguono in una giornata di rassegne stampa o di penitenza. La seconda: se Giorgia Meloni è la Giorgia Meloni che tutti conoscono, Licia Ronzulli può dimenticare il suo sogno di diventare ministro. La terza: con 19 voti in meno non si può governare il Senato per cinque anni. Il che significa che Giorgia Meloni anche se ha vinto ieri una battaglia, nel nome di La Russa, adesso dovrà prepararsi a combattere una guerra di posizione che si preannuncia non facile nel nome e suo nascente governo: c’è dunque un potenziale scisma nella sua maggioranza, in cui tutti hanno da perdere nel centrodestra.

Ma il Cavaliere può ritornare indietro dopo essersi esposto così tanto? Ci sarà una scissione in Forza Italia? Si combatterà voto per voto in ogni fiducia? Soprattutto, cosa farà adesso Antonio Tajani, l’altro uomo forte degli azzurri, che certamente non vede di buon occhio questa rottura? Nessuno pensava che le fratture non suturate nel centrodestra sarebbero deflagrate così presto, e con tanta virulenza. Ma se Berlusconi non farà marcia indietro una legge della fisica che vale anche in politica imporrà la necessità di colmare un vuoto. Oggi si replica all a Camera, e qui il gioco di Forza Italia metterà nel mirino anche il suo ex compagno di lotta Matteo Salvini, che si ritrova in pista con il suo candidato. La guerra della Ronzulli, dunque, rischia di finire con un regicidio.

Giornalista e autore televisivo

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