È difficile comprendere perché la Francia, uno Stato dell’Unione Europea, neghi l’estradizione per dieci terroristi italiani responsabili di gravissimi fatti di sangue consumati in Italia. Questa volta, a differenza di un non lontano passato, è stata la Giustizia e non la Politica, visto che il presidente Macron ha aderito alla richiesta italiana, nella primavera di due anni fa, quando al governo c’era Draghi, di fatto sancendo un duplice, importante principio politico: da un lato la legittimità delle condanne inflitte in Italia, dall’altra il diritto di vederle applicate.

È comunque difficile capire perché i giudici francesi, la Corte d’appello prima e la Cassazione ora, indipendenti rispetto al potere politico, come è giusto che sia, abbiano detto no: i dieci – due donne e otto uomini tra i 62 e i 69 anni - condannati in via definitiva, alcuni addirittura all’ergastolo, per attentati, omicidi, banda armata, associazione terroristica, fatti accaduti oltre quarant’anni fa, restano liberi. In Francia. Dove vivono da lungo tempo, senza seccature di nessun tipo. Anzi, è proprio questo uno dei motivi del diniego francese: si sono rifatti una vita. Se fossero estradati in Italia dovrebbero finire, qualcuno perfino iniziare a scontare, la loro pena. I giudici francesi richiamano la Convenzione europea dei diritti dell’uomo sul rispetto della nuova vita che i condannati scappati dalla Giustizia italiana si sono creati in Francia dove hanno un lavoro, una famiglia, dei figli. Secondo la Cassazione francese l’estradizione arrecherebbe un danno spropositato a un diritto che hanno acquisito dopo anni di permanenza oltralpe, quello alla vita familiare.

L’altro motivo della decisione è legato al fatto che alcuni sono stati condannati in contumacia, e siccome si tratta di sentenze definitive, in Italia non potrebbero avere un nuovo processo. Per i parenti delle vittime del terrorismo è un’offesa non facilmente sanabile: il loro diritto alla vita familiare sì che è stato spezzato, in modo definitivo, ma la sentenza non ne tiene minimamente conto.

È difficile capire, sebbene le motivazioni del no all’estradizione siano chiare, anche perché la decisione arriva da giudici di uno Stato europeo che in materia di terrorismo, ma anche droga e altri reati transazionali, partecipa a indagini congiunte con gli altri Paesi dell’Unione, e davanti a un ordine di cattura europeo non si tira mai indietro. Ecco: forse alla luce di tutto questo la sentenza appare perfino antistorica.

Del resto, nessuna sorpresa: il 7 febbraio l’avvocato generale della Cassazione francese aveva dato parere negativo, consigliando cioè di respingere il ricorso del procuratore generale favorevole all’estradizione. Il brutto di questa vicenda è che i giudici avevano bene in mente la gravità dei reati per i quali sono stati condannati i terroristi italiani, però ha giocato un ruolo decisivo il fattore tempo: ne è trascorso troppo. E poco importa se sul passare dei decenni ha inciso la posizione politica della Francia, con quella che era stata ribattezzata la dottrina Mitterrand: in parole semplici, non si concedeva l’estradizione di persone imputate, condannate o ricercate per atti di natura violenta ma di ispirazione politica, purché non diretti contro la Francia. Era di fatto un asilo politico. L’allora presidente Mitterrand aveva specificato che questa posizione non includeva i gravi fatti di sangue, però basta guardare per quali reati sono stati condannati i dieci terroristi dei quali si discute ora per vedere che la realtà è diversa dalla teoria.

Ma c’è di più. Se da un lato è vero che il lungo tempo decorso può aver cambiato non sol o la vita ma forse pure la testa di quelle persone - anche se non ci sono mai stati segni di ravvedimento - in ogni caso un dato è certo: la decisione sul loro futuro spetta all’Italia, dove quei dieci hanno commesso i loro gravissimi crimini, dove sono stati processati e condannati, e da dove sono fuggiti. In questo modo, invece, la Francia si erge a giudice universale, di fatto criticando e insinuando dubbi sul nostro sistema che, pur con tutti i limiti, è comunque garantista. Chissà cosa sarebbe successo a parti invertite.

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