P overi telecronisti Rai davanti alle imprese di Sinner. Come tradurre volèe che si chiama così da sempre? Treccani: colpo al volo. Segnàtelo, può servire. O forse no, la battaglia è contro le parole inglesi, questa è francese, potrebbe salvarsi. Quindi anche padel, spagnola. Vedremo. E tennis? Tranquilli, non è traducibile in italiano, dunque via libera anche nella tv di Stato.

Ma basket, quando mai: pallacanestro, si dice. Idem (è latino, chissà) per volley: vietato, c’è la parola italiana, pallavolo. E rugby? Andate a cercare: palla ovale. E derby? E gol?

N on c’è che dire, ha qualcosa di esilarante la proposta di legge, primo firmatario Fabio Rampelli, vice presidente della Camera dei deputati, presentata a Natale e illustrata alla vigilia del primo aprile. Ma non era uno scherzo. Le disposizioni per la tutela e la promozione della lingua italiana e l’istituzione del Comitato per la tutela, la promozione e la valorizzazione della lingua italiana prevedono multe per i trasgressori dai 5mila ai 100mila euro. Avete capito bene: centomila. “La lingua italiana – si legge nella relazione illustrativa - rappresenta l’identità della nostra Nazione, il nostro elemento unificante e il nostro patrimonio immateriale più antico che deve essere tutelato e valorizzato”. E chi ricopre cariche nelle istituzioni “è tenuto alla conoscenza e alla padronanza scritta e orale della lingua italiana”: passaggio evidentemente destinato agli stranieri.

“Sono anni che studiosi, esperti e istituzioni come l’Accademia della Crusca denunciano il progressivo scadimento del valore attribuito alla nostra lingua e segnalano l’importanza di una maggiore tutela dell’italiano e del suo utilizzo nella terminologia amministrativa da parte dello Stato, delle sue articolazioni territoriali e degli strumenti di diffusione culturale pubblici e a partecipazione pubblica, come la Rai”. Dunque: solo parole italiane in tutti gli atti pubblici, in tutti i discorsi pubblici, in tutte le radiotramissioni del servizio pubblico. E pazienza se sostantivi come, per dirne due, manager o partner, facciano parte del linguaggio comune.

“L’uso sempre più frequente di termini in inglese o derivanti dal linguaggio digitale è diventato una prassi comunicativa che, lungi dall’arricchire il nostro patrimonio linguistico, lo immiserisce e lo mortifica”. Per provare che il problema esiste ed è grave i proponenti fanno riferimento a un neologismo, itanglese, che definisce “l’intrusione di vocaboli inglesi nella nostra lingua che, spesso, rasenta l’abuso. Dal 2000 il numero di parole inglesi confluite nella lingua italiana scritta è aumentato del 773 %: quasi 9.000 sono gli anglicismi nel dizionario Treccani su circa 800.000 parole”.

Tra questi c’è quello usato dalla premier, pardon (ma almeno questa si potrà dire?), presidente del Consiglio dei ministri: nel discorso di insediamento si è definita underdog, facendo sfoggio di una parola inglese non proprio usata da tutti. Ma senza andare troppo in là nel tempo,sempre Giorgia Meloni al VinItaly (cambiamo nome, subito) ha lanciato l’idea del liceo del Made in Italy: multa immediata. Liceo Fatto in Italia, che diamine, se poi non ci capiamo, pace. Come non bastasse, nella stessa proposta di legge, o meglio, nella parte che la presenta e accompagna, a un certo punto si legge il termine slogan, che non è certo italiano, ed esiste pure l’italico corrispettivo, se si ha la pazienza, la voglia e il tempo di andare a cercarlo: motto.

La domanda a questo punto è: se ne sente davvero la necessità? Se di qualcosa c’è bisogno è semmai che i politici - e con loro quanti ricoprono un incarico pubbli co - studino l’italiano per evitare gli strafalcioni grammaticali che siamo abituati a sentire, in modo da dare il buon esempio quando si tratta, per dire, di coniugare un congiuntivo.

Ma evitare per legge l’inevitabile, il modificarsi cioè di una lingua, conseguenza dello scambio culturale tra i popoli, che non è mai impoverimento semmai libertà, sembra un inutile ritorno a un lontano passato: alzare palizzate per proteggere il proprio cortile da intrusioni esterne. Parliamo italiano, mangiamo italiano, vestiamo italiano, consumiamo italiano… ma studiamo l’inglese che ci serve nel mondo, mica solo con gli inglesi. Che, peraltro, non sono più neanche nell’Unione Europea, dopo la Brexit. A proposito, questa parola in che lingua è? No, perché c’è pure questa nella proposta di legge che vuole abolire gli anglicismi. E dai.

© Riproduzione riservata