È stata distrutta l’umanità, ha affermato la presidente della Unione Europea, Ursula Von der Leyen, commentando la strage di Bucha e consegnando al Presidente Zelensky l’atto per la richiesta di ingresso dell’Ucraina nella comunità del vecchio Continente. Un grande anelito di giustizia pervade l’Europa ed il mondo civile dopo gli eccidi di massa, sistematicamente compiuti dall’esercito russo in Ucraina a danno della popolazione civile, in ogni centro abitato da loro occupato, ponendo così in essere gravissimi crimini di guerra e contro l’umanità.

S cene terribili come non si vedevano più in Europa dopo quelle causate dai nazisti nella seconda guerra mondiale. Si percepisce però un grande senso di impotenza perché non si riescono ad intravedere modi e forme certe per sanzionarli, nonostante un ordine mondiale che si riteneva efficacemente garantito con l’Onu ed altri importanti trattati. Si tratta di condotte inammissibili per la Costituzione italiana che (articolo 11) “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”: esattamente quanto ha compiuto e sta compiendo la Russia nei confronti dell’Ucraina.

Tuttavia Giuliano Amato, presidente della Corte Costituzionale, ha anche ricordato, nei giorni scorsi, in una pregevole “lezione”, che la Costituzione Italiana, pur ripudiando la guerra, contiene anche gli articoli 52 e 78 che oggi, per “garantire un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni” legittimano il sostegno e la fornitura di armi ad un popolo che si batte per la propria libertà, e legittimerebbero una “guerra difensiva”.

Afferma poi Amato che per tali crimini di guerra potrebbe forse essere avviata, nei confronti dei militari responsabili e dello stesso Presidente Putin, una istruttoria da parte del Tribunale internazionale soprattutto perché le prove si trovano in Ucraina che ha accettato lo Statuto pur se la stessa, al pari di Russia e Stati Uniti, non ha firmato il relativo Trattato.

Un anelito di giustizia però alberga anche in Italia, dato che la sua mancata riforma rischia di far perdere al nostro paese i finanziamenti del PNRR, essendo, anche per l’Europa, necessaria e non più rinviabile la rimozione di ciò che oggi costituisce uno dei massimi handicap per il nostro sviluppo economico.

Nonostante la tenacia della Ministra di Giustizia Cartabia, non si trova ancora l’intesa tra le forze politiche, né per la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura (per sottrarre la giustizia alla logica spartitoria delle correnti), nè su status e carriera dei magistrati, né per la distinzione delle carriere tra pubblico ministero e giudice.

È infatti indiscutibile che il giudice, per essere riconosciuto tale, deve non solo essere ma anche apparire “terzo” ed equidistante tra le parti, tra accusa e difesa.

Se, tuttavia, il Parlamento, anche per le pressioni interne ed esterne che continua a subire, non riuscirà ad approvare le fondamentali riforme della Giustizia, su alcune di esse si pronuncerà il corpo elettorale, in quanto con le sentenze numero 58, 59 e 60 dello scorso 8 marzo, la Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibili, tra gli altri, i referendum abrogativi su tre importanti profili di riforma, così trasferendo la decisione ai cittadini.

Si tratta del referendum su “separazione delle carriere tra giudici e Pm”, cioè “se i magistrati possono continuare a mutare di funzione nel corso della carriera oppure se tale possibilità debba essere eliminata”.

La sentenza 59, ha ritenuto poi ammissibile il referendum che mira a riconoscere anch e ai membri laici del Consiglio Direttivo della Corte di Cassazione e dei Consigli Giudiziari (due professori universitari ed un avvocato) la possibilità, sinora esclusa, di esprimersi pure sulle deliberazioni inerenti a carriere e status dei magistrati.

E l’ultimo referendum (sentenza numero 60) riguarda il sistema elettorale e la presentazione delle candidature per l’elezione del Consiglio Superiore della Magistratura.

Su questi temi, in caso di mancata riforma parlamentare, sarà perciò il corpo elettorale a decidere nel prossimo mese di giugno.

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