Donald Trump e la filosofia del dazio: protezionismo e niente più?
Non solo, con tutta probabilità, un tentativo di difendere la produzione nazionale dalla concorrenza slealePer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
E meno male che il quarantasettesimo Presidente degli Stati Uniti d’America non avrebbe scatenato guerre durante il suo mandato. Perché, quella dei dazi doganali, avviata il 2 aprile dallo stesso Presidente degli Stati Uniti d’America nei confronti di tantissimi Paesi, fra cui non poteva certo mancare la Cina, come pure nei confronti dell’Unione Europea, in quale altro modo si potrebbe definire?
“Liberation Day” per gli Stati Uniti stando agli annunci del Presidente, siccome gli Stati Uniti, a suo modo di ritenere, si sarebbero liberati rispetto alle ingiustizie subite da tutti i paesi del mondo. Se poi si voglia considerare che l’unica eccezione, che dovrebbe quanto meno far riflettere, sembra proprio essere rappresentata dalla Russia di Vladimir Putin, finora rimasta indenne dai dazi, allora la circostanza potrebbe assumere connotazioni quanto meno singolari.
La “guerra” di Donald Trump, insomma, sembrerebbe essere differente, o meglio, si combatterebbe a colpi di dazio, e più precisamente, per quanto sia stato possibile comprendere, a colpi di dazio in “entrata”, ossia, per dirlo semplicemente, con sovrapprezzo sui beni importati. L’intento perseguendo, ammesso e non concesso che possa andare a buon fine, sembrerebbe quello di avvantaggiare le imprese locali penalizzando quelle straniere.
Che i contraccolpi di siffatta impostazione economica non tarderanno a farsi sentire, probabilmente, nel breve e medio termine, è questione scontata considerato financo il momento storico contingente. Ma, forse, l’agire di Donald Trump, riflette aspetti ed effetti differenti.
Fin dal suo re-insediamento alla Casa Bianca, Donald Trump ha voluto offrire un imprinting del tutto nuovo al suo mandato, manifestando un’ideologia politica in controtendenza rispetto al passato. Volendo ricorrere ad uno schema grafico di geopolitica, l’Unione Europea, allo stato debolissima sul piano della autonomia strategica perché allo stato priva di una reale unità politica, che pare appunto difettare, insiste proprio nel mezzo tra gli Stati Uniti e la Russia, ossia tra due grandissime sfere di influenza da cui rischia di restare forse travolta e/o comunque pesantemente condizionata, conseguendone che la Cina di Xi-Jin-Ping, nel frangente, ben potrebbe rappresentare quel potentissimo contrappeso utile a contrastare tanto l’espansionismo americano, quanto quello sovietico.
Se l’America tornerà grande, come parrebbe volere Donald Trump, ed in che termini questo accadrà, sembra ancora prematuro dirlo. Per quanto allo stato sembra dato comprendersi Donald Trump appare convintamente intenzionato a portare avanti le misure annunciate in campagna elettorale, ossia quelle in materia di immigrazione e di relazioni internazionali. Benché nell’ottica (probabilmente miope) del Tycoon i dazi vengano imposti nel tentativo di difendere la produzione nazionale dalla concorrenza sleale, tuttavia, il loro significato, storicamente, non è stato unicamente di tipo economico. E pare davvero operazione complessa il rintracciare una qualche coerenza nell’operato di Donald Trump. Al di là ed oltre il colore politico della sua Amministrazione. Probabilmente è solo questione di momento storico.
L’approccio di Donald Trump, apparentemente vicino alla potenza Russa, e tendente, quanto meno idealmente (sarà il tempo a dirlo) ad intraprendere inedite alleanze trasversali, seppure possa apparire incoerente, in realtà potrebbe non esserlo se considerato in relazione al tentativo di riscrivere la geopolitica relazionale. Probabilmente la risposta ai dazi di Donald Trump, sarebbe proprio quella di intraprendere nuove e forti alleanze commerciali con Paesi Terzi così da diversificare gli scambi al fine di ovviare alla politica economica statunitense.
Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro