«H.A., marocchino, 37 anni, ristretto nella Casa Circondariale Ettore Scalas di Cagliari-Uta, non può continuare a fare lo yo-yo da un capo all’altro del Paese. L’uomo, che ha subito 15 trasferimenti prima di approdare in Sardegna, è quasi costantemente in cella d’isolamento per i comportamenti aggressivi nei confronti degli operatori penitenziari. Una situazione emergenziale che non può essere risolta trasferendolo da un istituto all’altro». A denunciare la vicenda è Maria Grazia Caligaris dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme ODV”,  sottolineando la «situazione insostenibile per l’istituto di pena cagliaritano e facendo osservare che «l’elevato numero di persone con disagio psichico e atteggiamenti antisociali non può essere risolto con le celle di isolamento».

Per questo, aggiunge Caligaris, «è necessario che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria intervenga con urgenza per garantire al detenuto le cure di cui ha bisogno ma anche l’incolumità e la serenità degli operatori penitenziari».

«Il caso H.A. – sottolinea l’esponente di SDR ODV – documenta ancora una volta di più l’esigenza di una presa in carico da parte di personale specializzato in strutture alternative al carcere, almeno finché le condizioni fisiche e psichiche di un detenuto problematico gli permettano di scontare la pena con consapevolezza. L’altro aspetto che salta agli occhi, e che fa ritenere le carceri sarde il luogo ideale per “contenere” le questioni più difficili, è che mentre negli altri Istituti H.A. ha soggiornato per pochissimi giorni, accedendo a trasferimenti quasi immediati, nella Casa Circondariale di Cagliari-Uta permane da 5 mesi. Non perché abbia cambiato atteggiamento ma perché le richieste di trovare una soluzione alternativa sono state respinte».

«È evidente – prosegue Caligaris – che permanendo le gravi condizioni di disagio H.A. non può essere inserito in alcun programma riabilitativo in carcere. È altrettanto vero che l’isolamento accentua i sentimenti antisociali e aggressivi e che il carcere non è un luogo in cui una persona con gravi problemi possa accedere a cure personalizzate. L’unica soluzione - conclude Caligaris - è che il DAP riveda la situazione di quest’uomo e si convinca dell’inutilità di tenere una persona chiusa in una cella attivando la ricerca di alternative in grado di restituire a tutti serenità, sarebbe il colmo che una persona entrata in carcere per scontare una pena di 10 mesi dovesse vedersi comminare l’ergastolo».

(Unioneonline/l.f.)

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