Mani legate o coperte e una maschera sul volto, proprio come quella di Hannibal Lecter, inquietante protagonista del film “Il silenzio degli innocenti” e dei romanzi di Thomas Harris. 

In questo caso, però, il cannibalismo non c’entra. Sì, perché tenere bloccati gli arti e coperta la bocca è la “cura” cui viene sottoposto da sedici anni Bruno, paziente ricoverato in un centro di assistenza ai disabili nel Sulcis-Iglesiente, affetto da una patologia che lo porta ad ingerire di tutto.

«Un trattamento che appare più vicino al concetto di tortura che a quello di cura», denuncia la nuova Garante della Sardegna per le persone private della libertà personale, Irene Testa, che ha effettuato una visita nella struttura dove Bruno è ospitato. 

«Ho atteso un giorno prima di mettere nero su bianco quanto visto all'Aias di Cortoghiana. Un giorno - confessa la Garante - per riprendermi dallo scenario agghiacciante e raccapricciante che mi sono trovata davanti».

«Bruno - racconta Testa - è affetto da picacismo: una patologia che lo porta a ingerire qualsiasi cosa gli capiti davanti. Da oltre sedici anni viene tenuto tutto il giorno legato per le mani con un casco in testa. Apparentemente non perché pericoloso verso gli altri, ma verso di sé».

«Non mi sto riferendo alla struttura, ma a un caso specifico di un ospite al suo interno, per la verità già sollevato da alcuni anni dalla presidente dell'Unasam (Unione nazionale delle associazioni per la salute mentale) Gisella Trincas, ma anche oggetto di esposti alla Procura, di lettere all'allora ministro della Salute Speranza e di interrogazioni nel Consiglio regionale della Sardegna».

Il termine picacismo (detto anche allotriofagia) deriva dal sostantivo latino “pica”, ovvero gazza, uccello solito a fare razzia di tutto quello che trova e anche ad assaggiare anche sostanze e materie generalmente non alimentari, come, ad esempio, la terra. 

(Unioneonline/l.f.)

© Riproduzione riservata