C’è chi dice no. «La Sardegna non deve diventare la colonia energetica di nessuno». Agnese Cabigliera ha un’azienda di produzione di formaggio (Cabigliera e Zidda) a Ozieri. Per descrivere la sua attività usa termini diretti: «Tradizione, biodiversità, animali felici al pascolo e tanta passione per il nostro lavoro». 

E non ha fatto ricorso a giri di parole nemmeno per descrivere la chiacchierata telefonica con il rappresentante di una società che opera nel settore delle energie rinnovabili. Lei, come tanti imprenditori delle campagne della Sardegna, ha ricevuto una chiamata con una proposta che, per alcuni, non si può rifiutare: mettere a disposizione le terre per installare gli impianti più vari. Dall’eolico, al fotovoltaico fino all’agrivoltaico. Con discorsi disseminati di “green” e “energy”. Non un male in sé. Anzi. Ma un problema, e grosso, c’è. 

«In poche parole, il signore mi proponeva una chiacchierata per una eventuale collaborazione per l'installazione di pannelli fotovoltaici a terra, su terreno agricolo», spiega Cabigliera. La sua risposta, dice, è stata secca e decisa. «Mi dispiace per lei, ma ha contattato la persona sbagliata.  Per quanto mi riguarda, la Sardegna non deve diventare la colonia energetica di nessuno». 

L’imprenditrice racconta di un interlocutore «spiazzato, che ha cercato di arrampicarsi sugli specchi». 

Le domande che Cabigliera si pone «sono sempre le stesse. Vogliamo davvero trasformare la nostra Isola in una distesa di pannelli fotovoltaici e pale eoliche? Se è vero che la Sardegna ambisce a diventare una meta turistica per 12 mesi all'anno», riflette, «chi vorrà fare le vacanze in un posto dove la natura è stata sfregiata? Quale ricchezza lasceremo ai nostri figli, se intere porzioni di territorio le usiamo per produrre energia? Perché non sfruttare le strutture già esistenti e agevolare gli investimenti anche nei centri abitati, in cui i tetti degli edifici potrebbero ospitare i pannelli fotovoltaici?». 

Il parallelo con il «sogno industriale» è calzante: molti negli anni Settanta ci hanno creduto, abbandonando le aziende agricole. «Cos'è cambiato oggi?», si chiede l’imprenditrice. 

Il suo non è un “no” a priori. Dietro c’è un ragionamento: «Processi complessi, come in questo caso, quello della transizione energetica, vanno studiati, approfonditi, regolamentati, e gestiti, non subiti, nell'interesse della collettività e non a temporaneo beneficio del singolo». Tanti accettano di cedere le terre in cambio delle mance promesse, mentre i colossi energetici macinano incentivi milionari. «Da sempre la Sardegna è stata sfruttata da chi pensava che qui si potesse fare tutto, senza chiedere il permesso a nessuno, ora il permesso ce lo chiedono, e davvero siamo disposti ad accettare per una manciata di soldi?», è la domanda, retorica, finale. «La mia risposta è no». 

(Unioneonline/E.Fr.)

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