La stanza del figlio è rimasta come quell'ultimo giorno. Le madonnine e i rosari sul comò, il bruco di pezza del Milan e il tappeto rossonero fatto al telaio, le foto di Stefano bambino alla festa della prima comunione e della cresima, le sue scarpe e i vestiti nell'armadio. Marco Masala è qui che chiude le sue giornate di uomo orfano di un figlio e vedovo di una donna molto amata. Accende la lampada arancione a forma di orsetto che spegne solo all'alba, recita le preghiere e poi si ritira nella sua camera per la notte. "È un rito che mi conforta, così come lasciare in carica il telefono di mia moglie. Tenerlo acceso mi aiuta".

LA CASA DEL LUTTO - Ci sono lumini accesi ovunque, nella casa dove negli ultimi tre anni si è abbattuta la tragedia più grande. Stefano è scomparso la sera del 7 maggio 2015; sua madre è morta il 24 maggio di un anno fa. Un tumore se l'è mangiata in pochi mesi. "Si è ammalata per il troppo dolore. 'L'ho fatto uomo, mio figlio, e me l'hanno rubato', diceva". Era maggio anche quando ci siamo sposati, sa?, racconta d'un soffio Marco cercando un ricordo felice e accarezzando il ritratto di lei poggiato sulla madia in soggiorno. Dimostra di più dei suoi sessant'anni. Autista in pensione, ha modi pacati e una sigaretta tra le dita.

IL GIURAMENTO - "Me lo ha chiesto poco prima che chiudesse gli occhi per sempre: 'Riportalo a casa, Stefano'. Te lo prometto amore mio, così le ho detto. E adesso che abbiamo cercato il corpo in tutti i laghi, tutti i pozzi del circondario e tra poco ricominceremo, io me lo sento che lo ritroveremo".

Il capofamiglia sta seduto sulla seggiola vicino al tavolo, le figlie - Valentina, 36 anni, e Alessandra, la gemella di Stefano, 31enne, entrambe madri di due bambini - sul divano; e Giuseppe, 33 anni, il secondogenito che vive col padre, in piedi come una vedetta.

L'APPUNTAMENTO - È da quella maledetta primavera del 2015 che stanno in trincea. Da quando Stefano, 39 anni e l'innocenza di un bimbo, chiese al padre la macchina, dato che la sua Panda era in officina, e uscì dopo cena dicendo: "Ho un appuntamento con Cinzia". Solo che lei non lo sapeva. Cinzia era un'amica, la ragazza di cui si era innamorato. L'esca usata dai lupi, ha detto l'accusa, per metterlo in trappola.

OMICIDIO A ORUNE - La storia nera del destino di morte che unisce Stefano Masala a Gianluca Monni, lo studente diciottenne di Orune ucciso a fucilate la mattina dell'8 maggio 2015 mentre aspettava il pullman dei pendolari, è già stata raccontata. Il punto di congiunzione è la Opel Corsa grigia di Marco Masala filmata dalle telecamere a Orune nei minuti dell'omicidio e ritrovata bruciata nelle campagne di Pattada. A febbraio del 2016 gli inquirenti non cercavano più uno scomparso, bensì un cadavere: Stefano era stato ucciso per prendergli l'auto e addossargli la responsabilità dell'omicidio di Gianluca Monni. Lo scorso 5 aprile, la fine di un capitolo: il Tribunale per i minori di Sassari ha condannato a 20 anni di reclusione - per duplice omicidio - Paolo Pinna, 19 anni, di Nule. Secondo gli investigatori l'altro lupo è Alberto Cubeddu, ventunenne di Ozieri, cugino di Paolo Pinna. È accusato di duplice omicidio e distruzione di cadavere: il 3 luglio comincia il dibattimento in Corte d'Assise a Nuoro.

LA SPERANZA - Marco Masala ha detto più volte in passato di voler sperare che Alberto confessi, "dica dov'è il cadavere di Stefano". Di Paolo Pinna e dei genitori non parla, li chiama "loro", e dice che "la famiglia per come la intendo io è affetto, amore, rispetto".

Lui e Carmela sognavano una vecchiaia da viaggiatori. "Adesso che i figli sono grandi, ci dicevamo, possiamo pure organizzarla qualche villeggiatura". Si sono fidanzati che avevano 17 anni e sposati il 2 maggio 1981. "Siamo del '57, io di ottobre lei di settembre". Carmela Dore era una delle ragazze più belle del paese. Dolce, simpatica, spiritosa. "Sognava di fare l'infermiera, ma siccome aveva otto fratelli non ha potuto studiare". È diventata una tessitrice di talento, ha venduto e regalato tanti dei suoi tappeti e arazzi, manufatti come quelli che oggi arredano la sua casa a Nule.

UNA STORIA D'AMORE - "Quarantadue anni insieme. Insieme anche dopo la morte. Non potrò mai innamorarmi di un'altra donna, sa? Vado tutti i giorni in cimitero, le parlo". Troverà Stefano. Porterà il corpo nella tomba di famiglia, accanto alla madre, proprio nel loculo sopra. L'ho fatto uomo e me l'hanno rubato, diceva Carmela. Aveva rischiato di perderlo quando lo portò al mondo. "Stefano pesava 800 grammi, Alessandra invece era più grandetta - racconta Marco Masala -. È rimasto cento giorni nell'incubatrice, all'ospedale di Ozieri, ma ha superato tutto". È andato a scuola, all'Alberghiero ha preso l'attestato di commis di sala e bar, lui che sognava di preparare i cocktails dietro un bancone. Quattro anni fa la diagnosi di sclerosi multipla. "L'ha accettata da uomo maturo". E di fede. "Si fidava delle terapie mediche ma ancor più della Madonna". Stefano era uno che andava in chiesa la domenica, che non dimenticava un trigesimo. L'ultimo pellegrinaggio l'ha fatto coi genitori a Medjugorie, un anno prima della scomparsa. Era felice.

Piera Serusi
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