Ci sono le dichiarazioni ufficiali, quelle di facciata, poi c’è la realtà, quella degli affari, del petrolio e del gas, del mercato delle armi e delle convenienze. I volti dell’inferno scorrono indisturbati tra un salotto e una partita di tennis. Tra una flebo legata alla bell’e meglio con i lacci di quel che resta di quelle scarpe rimaste squarciate senza piedi nel terreno della guerra e carriole trasformate in lettighe funerarie per l’ultimo viaggio, di bambini o adulti. Si vede quel che si può, tutto edulcorato dalla geopolitica degli affari e dalle strategie occidentali, dal rigore per i volti degli infanti da proteggere, nonostante le bombe di fabbricazione “civile” ne abbiano per sempre divelto la vita.

Non un affar loro

Il conflitto tra Israele e Palestina, tra Benjamin Netanyahu e Hamas, è la rappresentazione più cruenta di una guerra scolpita nei cromosomi di quella terra, intrisa da sempre di sangue e armi. Un affar loro, si potrebbe sentenziare in modo pilatesco, se non fosse per quel mediare e armare, vendere morte e far affari, da consumarsi proprio su quei conflitti che tutti, a parole, vorrebbero fermare, ma sui quali, invece, a suon di bombe e missili foraggiano senza tregua. In quell’angolo di mondo, il più ricco di petrolio e gas, fatto di Emiri e potentati, di dollari ed euro, da sempre si celano le più perverse contraddizioni occidentali. Da una parte roboanti proclami per la difesa dei diritti civili negati, dall’altra una sottomissione economico-affaristica che si registra su due fronti indissolubili, armi & petrolio.

Contraddizioni

Tracciare la mappa degli affari di guerra e di energia nell’area mediorientale è come affidare ad una ragnatela la sintesi di uno scacchiere infinitamente contraddittorio e controverso. Rapporti a luci rosse spacciati per relazioni tra educande e orsoline, nemici conclamati sul fronte dei diritti negati, amici fraterni quando da sottoscrivere ci sono quelli che alla Farnesina, Ministero degli Esteri, chiamano “Accordi tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo dello Stato “xy” sulla cooperazione nel settore della difesa”. Tutto teoricamente alla luce del sole, salvo poi dimenticarsene quando in ballo c’è un conflitto sanguinoso capace di portare il mondo sull’orlo di una guerra globale. L’inferno della Striscia di Gaza è solo la punta di un iceberg mediorientale che per molti versi non solo sfiora ma, per alcuni rilevanti elementi, rende la Sardegna drammaticamente protagonista. Una terra, quella sarda, teoricamente protesa alla pace, travolta in mille affari ad alto rischio, chiamata in causa da relazioni di Stato che vanno dalla produzione e vendita di bombe all’utilizzo straniero delle servitù militari scippate all’Isola, passando dalle missioni “sarde” nelle terre di conflitto, come quella di Unifil in Libano, proprio tra Israele e gli Hezbollah con l’impiego della Brigata Sassari. Il tutto con un dossier tenuto rigorosamente dormiente sullo scippo del mare sardo da parte dei Fratelli Musulmani dell’Algeria, che sulla costa tra Carloforte e Bosa hanno dichiarato la loro Zona Economica Esclusiva.

La questione delle armi

La prima grande questione è quella delle armi. La Sardegna, drammaticamente balzata alle cronache per l’uso, da parte dell’Arabia Saudita contro la popolazione dello Yemen, delle bombe prodotte nel profondo Sulcis dai tedeschi della Rwm, del gruppo Rheinmetall, è diventata suo malgrado un crocevia mediorientale per il nefasto mercato delle produzioni di morte. La storia della fabbrica tedesca in terra sarda, con la maggior parte dei dipendenti assunti con contratti trimestrali “somministrati” da agenzie interinali, è nota nel mondo. I ricchi tedeschi producono le bombe a Domusnovas, sfruttando la povertà occupazionale del Sulcis, per venderle, per esempio, ai ricchi Emiri dell’Arabia Saudita che le hanno utilizzate per bombardare le più povere popolazioni del mondo, quelle dello Yemen. Vendite per quattrocento milioni di euro bloccate solo dopo anni di proteste per la violazione delle norme in materia di commercio di armi, la Legge 185/90, che impedisce di venderle a paesi in conflitto. Ed è proprio da quella vicenda che inizia il viaggio nell’inferno delle armi “sarde” finite nel groviglio del Medio Oriente. In questo caso emerge un dato emblematico: le armi della Rwm e della Rheinmetall nel versante del conflitto sono finite gran parte negli arsenali degli Stati contrapposti a Israele. Italia, Germania e Europa, dichiaratamente schierate con Israele, con la fabbrica di bombe dislocata in Sardegna, forniscono le ciclopiche e devastanti «MK» proprio a quei Paesi arabi che apertamente sostengono Hamas, in tutto e per tutto, dai soldi alle armi. Ieri, la capofila Rheinmetall ha registrato alla Borsa di Berlino un rialzo del proprio titolo di un più 60% dall’inizio dell’anno e di oltre 200% dall’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina. In questo scenario il conflitto mediorientale è l’ennesimo regalo per gli affari di guerra. La relazione presentata nel 2022 dal Presidente del Consiglio al Parlamento sul commercio delle armi fa emergere un quadro inquietante: le armi prodotte in Sardegna sono finite per la maggior parte nelle mani dei Paesi arabi schierati apertamente contro Israele. In testa negli acquisti di “bombe sardo-tedesche” c’è il Kuwait, paese che si dichiara da sempre schierato con la causa palestinese. Tra Rwm e Rheinmetall, nell’ultimo anno censito, gli emiri del Kuwait hanno sborsato la bellezza di quasi quaranta milioni di euro.

Qatar & Rwm

In graduatoria sono seguiti dal primo alleato di Hamas, il Qatar, lo stesso del Mater Olbia, della Costa Smeralda e del fallimento di Air Italy. L’Emiro Al-Thani ha fatto shopping di armi sardo-tedesche per quindici milioni di euro. Non manca la Turchia con quasi quattro milioni di euro, anch’essa schieratissima con Hamas, per arrivare agli Emirati Arabi con una spesa di cinque milioni e mezzo di euro di bombe. Il totale delle vendite mediorientali della Rheinmetall-sarda nell’ultimo anno è di 69 milioni di euro. Nel conteggio, però, mancano i contratti bloccati per via del conflitto nello Yemen. Nel corso del 2021 sono state bloccate sei autorizzazioni alla Rwm per l’esportazione di bombe d’aereo, tre verso gli Emirati Arabi Uniti e tre verso l’Arabia Saudita. La revoca ha cancellato forniture per 328 milioni di euro. Contratti per i quali il governo italiano ha recentemente dato il via libera per la riattivazione. In questo scenario non manca Israele che ha fatto acquisti nella fabbrica sarda, la stessa dove si approvvigionano i suoi nemici giurati, per appena 387 mila euro. Acquisti marginali che il Ministero degli Esteri sta, comunque, valutando di bloccare proprio per il conflitto in atto.

Armi sardo-israeliane

In realtà, però, gli israeliani con la fabbrica di Domusnovas ci vanno a braccetto. UVision, la prima delle fabbriche di armi israeliane, la stessa che spedisce in vacanza aziendale migliaia di suoi dipendenti nel primo resort della costa di Pula, ha, infatti, sottoscritto proprio con la Rwm di Domusnovas un «accordo strategico per la produzione su licenza dei droni kamikaze». Una partnership dirompente che consentirà alla fabbrica israeliana, attraverso la fabbrica sarda, l’accesso diretto al mercato europeo. Non è un caso che il primo a comprare quei droni Kamikaze sia stato proprio il ministero della Difesa italiano. Dunque, in Sardegna, nella stessa fabbrica del Sulcis, si produrranno i droni per gli amici di Israele e allo stesso tempo le bombe per riempire gli arsenali dei suoi più acerrimi nemici. Non è finita, però.

Esercitazioni & missioni

La sarabanda incrociata della guerra mediorientale con l’Isola di Sardegna è un intreccio dissennato. Ci sono almeno altri due capitoli: la missione italiana in Libano, con la Brigata Sassari che fa sali e scendi in quella terra infuocata, e le esercitazioni dei nemici giurati nei poligoni militari della Sardegna. Sul confine israeliano con il Libano, la Nato ha piazzato la missione «cuscinetto» tra Israele e gli Hezbollah. L’Italia, il più delle volte con i “sassarini”, non intende fare un passo di lato: ha stanziato per il 2023 ben 149 milioni di euro. Missione ad elevato rischio, con i militari sardi costretti a fronteggiare i contendenti, la maggior parte armati proprio con le armi prodotte nell’Isola. E poi le esercitazioni aeree, quelle funzionali a distruggere territori e ospedali a colpi di bombe. A Decimomannu si esercitano il Qatar e l’Arabia Saudita, ma anche i piloti israeliani. Bombardano le coste sarde per farsi, poi, la guerra in casa loro. L’economia della morte, in salsa sardo-mediorientale, non conosce confini. Montagne di denaro, a suon di bombe e morte. Coerenza e coscienza qui, tra l’Occidente e la Terra Promessa, non sono di casa.

(2.continua)

© Riproduzione riservata