Sono arrivati nell’Isola come container qualsiasi. Spediti nella terra di nessuno senza alcun controllo, percorrendo strade di mezza Italia, attraversando il Tirreno e sbarcando impunemente in terra di Sardegna. È notte inoltrata quando uno dei traghetti ormeggiati al molo di Ponente del porto commerciale di Cagliari apre il portellone di scarico. I “trattori” per lo sbarco sono pronti alla sfida del tempo, scaricare il più rapidamente possibile i garage infiniti di quelle navi cargo piene di tutto e di più.

Stiva “pesante”

Quei lavoratori portuali incaricati del trapasso dalla nave alla terra ferma sono i primi, senza alcuna protezione, ad entrare in “stiva” per agganciare quelle scatole d’acciaio da 36.000 kg di portata ciascuna. Quei container grigi come la morte, qui, nell’avamporto della dogana, li conoscono da anni. Alcuni ne hanno percepito il pericolo, altri lo ignorano del tutto. L’unico codice di riconoscimento sono quelle polveri che pervadono ogni fessura di quel contenitore venuto da lontano, dal nord Italia, a volte, altre dall’estero. La “R” nera stampata a caratteri cubitali su sfondo giallo è l’unico vessillo riconoscibile: rifiuti.

Discarica di veleni

Lo sanno tutti che in Sardegna non ne possono arrivare, tranne quei “maledetti” fumi d’acciaieria, gli scarti degli scarti, tutti provenienti dai grandi produttori d’acciaio che vedono l’Isola come un “toccasana”, per loro e i loro bilanci, per smaltire, facendo letteralmente sparire quelle scorie di lavorazione cariche di ogni veleno. Tra la notte di venerdì e la mattina di sabato, però, scatta l’allarme. Il presidio radiometrico segnala un’anomalia in un primo container che riesce persino ad arrivare a Portovesme.

812 km impuniti

Era partito due giorni prima da Cremona, acciaieria dell’entroterra lombardo, in un contingente di venti contenitori stracarichi di “polveri” industriali, rifiuto da allarme rosso, con una destinazione ben nota: lo stabilimento della Glencore, il colosso mondiale del piombo e zinco, che, dopo la dismissione del settore minerario, aveva convertito gran parte degli impianti, nel cuore industriale del Sulcis, in una sorta di discarica-inceneritore per fumi di acciaieria provenienti da ogni latitudine. Con tutti i rischi e pericoli, a partire da quelli nucleari-radioattivi. La consegna a tutti i livelli è quella del silenzio, in fabbrica e soprattutto in porto. L’ordine è quello delle comunicazioni riservate: Prefetto, Sindaco di Portoscuso, forse il Commissario del Comune di Cagliari. Dei primi due ci sono certezze, del terzo no. Al primo cittadino del Sulcis la notizia arriva verbalmente: c’è un carico con sostanze radioattive fuori norma al porto di Cagliari.

Uno a Portovesme

E poi un ”addendum": uno di quei carichi è già arrivato a Portovesme, è stato isolato all’interno degli impianti, in un’area “quarantena”. Per il resto, il sospetto è che l’intero carico dei venti container possa essere contaminato da sostanze radioattive come il Cesio 137.

Esperti “radioattivi”

Per accertarlo, però, servono i tecnici dell’Arpas e soprattutto il “Nucleo NBCR”, Nucleare - Biologico – Chimico Radiologico, un gruppo specializzato dei Vigili del Fuoco chiamato ad intervenire in situazioni eccezionali quando esiste un fondato pericolo di contagio da sostanze nucleari, biologiche, chimiche o radiologiche. L’intervento del nucleo da codice “radioattivo” è pressoché immediato, dopo l’allerta prefettizia. L’operazione è delicata, con tanto di maschere antigas, rilevatori di sostanze pericolose, sensori elettrochimici, capaci di individuare il pericolo di agenti chimici e nucleari.

Otto container su venti

Il riscontro, mai ufficializzato, mantenuto nel più stretto riserbo, è allarmante: su 20 container ben 8, compreso quello già arrivato a Portovesme, risulterebbero contaminati da sostanze radioattive. Secondo i ben informati si tratterebbe di Cesio 137, un vero e proprio pericolo biologico-radioattivo a medio termine, dato che la sua “potenzialità” è di circa 30 anni. Una sostanza dagli effetti devastanti che si concentra nei muscoli ed è sospettato di essere l’indiziato numero uno nell'aumento di incidenza del letale cancro del pancreas. Ben si comprende, quindi, lo stato di allerta che silenziosamente è scattato nel porto di Cagliari.

Sette confinati

Gran parte dei contenitori sbarcati la notte prima sono stati allineati nel cuore del piazzale antistante il molo di Ponente, ma i sette container “radioattivi” sarebbero stati confinati in un’area marginale e lontana in attesa delle decisioni delle autorità preposte. Non si tratta di un primo episodio, ma mai con questa rilevanza, se si esclude la nave carica di fumi d’acciaieria che nel novembre del 2021 fu rispedita in Gran Bretagna per i rilievi radioattivi che avevano fatto emergere un grave superamento delle soglie di contaminazione. Tutto quel carico di fumi industriali proveniente dall’acciaieria “Celsa”, in quell’occasione, rimase bloccato nel porto del Sulcis per ben due settimane, isolato all'interno della nave Calypso. L’intero carico fu rispedito a Londra, proprio perché si trattava di una nave dedicata a quel trasporto. Era stata la Prefettura, con una comunicazione ufficiale inviata alla Portovesme srl, a disporre il via libera alla restituzione dei fumi. In quell’occasione furono imposte misure rigide per evitare qualsiasi rischio di esposizione delle persone e la contaminazione dell'ambiente. Per il carico isolato ieri nel porto del capoluogo non sarà così facile, considerato il pericolo già corso nel trasferimento da Cremona sino a Cagliari.

Rilievi penali

Non si potrà negare, infatti, che quel carico ha attraversato strade e autostrade per essere imbarcato in uno dei porti del nord o centro Italia per giungere nel porto principale del sud dell’Isola. Un rischio di gravissima entità visto che il carico “radioattivo”, secondo il tragitto dichiarato, avrebbe viaggiato persino a bordo di una nave commerciale. Rispedirlo indietro, come è giusto che sia, richiede un’operazione in grado di azzerare ogni pericolo per le persone coinvolte nella “restituzione”. Certo sarebbe inaudito confinare quelle scorie radioattive in Sardegna.

Portale nucleare pubblico

Questo nuovo, gravissimo, episodio ripropone in termini immediati e urgenti l’esigenza di un portale radiometrico “pubblico”, non gestito dalla “Portovesme srl”, ma da un’agenzia regionale che “protegga” l’Isola in ogni sua porta d’ingresso. A questo si aggiunge il tema del controllo severo, puntuale e senza errori di ogni prodotto imbarcato nei porti continentali verso l’Isola. È inaudito, infatti, che i controlli debbano essere fatti solo in Sardegna, omettendo di ricostruire la catena delle responsabilità, anche penali, di chi ha consentito l’imbarco e lo sbarco di quelle sostanze senza garantire la minima sicurezza e l’incolumità delle persone, dei lavoratori coinvolti e della salute pubblica. Troppo spesso, silenzi, omissioni e gravi responsabilità sono sinonimo di complicità insostenibili. I “silenzi” sono sempre inaccettabili e non vanno tollerati.

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