La sua guarigione a Lourdes, dopo il bagno nelle piscine della Grotta, non è ancora riconosciuta come miracolo dal severissimo Bureau Medical della cittadina francese, luogo delle apparizioni dell'Immacolata Concezione. Eppure Teresina Loche, mancata alla bell'età di 91 anni qualche giorno fa a Uta, suo paese natale, nel 1966 ormai in fin di vita, si recò alla Grotta di Massabielle: ne tornò sulle proprie gambe, perfettamente guarita.

Il diario di Teresina

Marco Murgia è uno dei tanti nipoti di Teresina, penultima di diciotto tra fratelli e sorelle. Ci apre il diario di una vita «regolare fino al 1961 quando, per la prima volta, insorge il male»: fistole, ascessi, polipi che si aprono nel corpo della poco più che trentenne Teresina. Un calvario di incisioni, spesso senza anestesia, interventi, raschiamenti e drenaggi per asportare l'enorme quantità di pus che si formava. «Le gambe atrofizzate, la sinistra non reagiva più. Dovevo restare pancia a terra: un archetto impediva alle lenzuola di entrare in contatto con il male».

La prima guarigione

Dichiarata inguaribile dai medici, l'8 settembre 1963, Teresina viene portata in chiesa a Uta, al santuario di Santa Maria. «In barella, al centro della navata, dopo la comunione sentii una voce chiamarmi per nome. Rivolsi lo sguardo verso il simulacro della Madonna e, quale fu la mia meraviglia: i dolori erano scomparsi, fistole e caverne erano completamente chiuse, asciutte e cicatrizzate, la pelle rosea, detersa.

La grande prova

Ma in sogno la Madonna - scrive Teresina nel suo diario - le annuncia una seconda, ancor più pesante prova. Il terribile Proteus morgani ritornerà più forte e devastante di prima. A dicembre viene trasferita e operata d'urgenza. I chirurghi «incisero e aprirono la coscia, asportando un enorme quantità di pus. Ero tornata allo stato di prima, proprio come mi aveva chiesto la Madonna».

Lourdes, 1966

Teresina non vuole saperne di Lourdes: «Se la Madonna vuole guarirmi, può farlo anche qui». Qualcuno però le paga il viaggio per il pellegrinaggio ma, racconta, «proprio allora mi aggravai in modo spaventoso». Nessuno vuole assumersi la responsabilità di questo viaggio-suicidio. Non sono soltanto i medici, anche i dirigenti dell'Unitalsi: «Teresina non parte!». Lo ricorda bene Angela Rosa Pais, all'epoca giovane dama d'assistenza». Tutto il personale voleva conoscerla e salutarla e alla fine Teresina partì. Ma le sue condizioni, appena arrivati a Lourdes, peggiorarono ancora. L'ordine era che non lasciasse la sua stanza». L'ultima notte a Lourdes fu di dolori indicibili, con la febbre tanto alta che ormai tutti dubitavano del suo ritorno in Italia da viva.

Il bagno alla Grotta

«La mattina fui medicata, le ferite sembravano più fetide, le garze inzuppate di una enorme quantità di pus. Il medico introdusse dentro le ferite metri e metri di garze, pregandomi di non uscire». Fu il capo barelliere, viste le insistenze, a portarla alla Grotta e alle piscine. Il bagno, quindi una sensazione di gran freddo, «da morire, seguito da un benessere come se non fossi mai stata ammalata». Al risveglio Teresina si trova in posizione supina, ma nessuna l'aveva girata. Fuori garze, bende: tutto pulito, bianco, come se non fossero mai state a contatto con piaghe purulente. Le ferite deterse, asciutte, non più fetide, la carne rosea. Al suo ritorno, a Cagliari, l'incontro con il primario Nandino Deriu: «Professore, lei non voleva che andassi a Lourdes: la Madonna mi ha guarita». Le lacrime agli occhi, commosso, mi abbracciò: «Brava! Dopo mi racconti tutto».

Il miracolo

Sono passati più di 50 anni ma quello di Teresina resta ancora miracolo senza certificazione. «Ma per noi dell'Unitalsi-Sarda Sud il miracolo c'è stato, al di là del bollino di qualità», dice don Carlo Rotondo, assistente spirituale dell'Associazione. «Una guarigione prima che fisica, interiore. Teresina Loche rappresenta il più bel e autentico spot del servizio legato a Lourdes, il «il miracolo a portata di tutti: un sorriso per guarire la vita».

Paolo Matta

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