“Il mio Tommy è morto, voglio sapere perché”: Monastir, lo sfogo di Marco Ugas
Non si dà pace il padre del 17enne, giocatore del Monastir: “C’era una scarpa che fuoriusciva dal telo, l’ho riconosciuto subito”
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Il 12 dicembre il trillo del citofono di casa squarcia la notte che già profuma di Natale. Al chilometro 15 della Statale 131 c’è stato un incidente e un ragazzo non ce l’ha fatta. Sono i carabinieri di Monastir a suonare alla porta per comunicare la notizia che spezza il cuore e le gambe. «Dovete venire subito: sulla 131 c’è stato un incidente e c’è un ragazzo a terra».
Il dolore
Due settimane dopo Marco Ugas, il padre dello sfortunato ragazzo deceduto nel tragico schianto, ricorda quegli istanti drammatici. «Tommaso era uscito la sera presto, poi – dopo avere riportato lo scooter a casa - aveva spento la luce ed era uscito ancora: non lo faceva mai. Io mi ero appena addormentato quando hanno suonato al campanello. Erano i carabinieri. Mia moglie Daniela aveva capito subito che quel ragazzo era nostro figlio» dice oggi Marco Ugas, 51 anni, il padre della 17enne promessa del calcio della Kosmoto Monastir, centrale difensivo della Juniores che si allenava ormai con i compagni più grandi dell’Eccellenza regionale.
Marco Ugas quella notte si è vestito in fretta e si è messo in auto pregando per tenere viva la fiammella della speranza. Che si è spenta, purtroppo, poco dopo, il tempo di coprire il tragitto che separa la loro casa, al centro di Monastir, dal chilometro 15 della Statale, in territorio di San Sperate, teatro un paio d’ore prima dell’incidente. «C’era una scarpa che fuoriusciva dal telo che copriva pietosamente quel ragazzo. Le ho riconosciute subito: quel corpo sull’asfalto era di Tommaso, il mio bambino».
Senza pace
A due settimane dalla tragedia che gli ha portato via il figlio, Marco Ugas è senza pace, iperattivo: dal cimitero, dove va più volte al giorno a pregare davanti alla tomba di Tommaso, il «mio numero uno», a casa, dove si alterna con la moglie per stare accanto alla figlia piccola di 10 anni, poi sino al cantiere dove lavora, la cava e l’azienda di materiali per l’edilizia, dove tutto parla di “Ziccu”, «il nomignolo che Tommaso si portava appresso da quando la sorellina piccola, distorcendo teneramente il suo nome, lo chiamava “Tommasiccu».
Com’era la vita della famiglia Ugas prima, e come è adesso dopo la tragedia? La domanda resta nell’aria interminabili secondi. «La nostra era una vita bella. Tommaso era un numero uno, aveva molti interessi, riusciva contemporaneamente a giocare alla playstation, studiare, per la scuola e per il patentino, e stare sul telefonino come tutti i ragazzi della sua età. L’azienda era il suo regno, insieme al campetto da calcio, la piscina, le sue macchinine, il quad. Veniva spesso alla cava e non solo per divertirsi: aiutava e collaborava già. Aveva un conto in banca di 30mila euro. Io ho lavorato per lui e la sorellina, per il loro futuro. Mi dicono che sono forte, ma ora senza di lui non é più lo stesso, non sarà mai più lo stesso», riflette Marco Ugas, titolare della Dos srl Monastir, che combatte la battaglia più grande, quella del dolore, immensa al cospetto «di una vecchia vicenda giudiziaria legata proprio alla cava e per cui sono stato assolto».
Gli amici
Tommaso, gli amici e quella maledetta notte sono il suo pensiero fisso: «Erano usciti per un giro in auto, a Cagliari, in piazza Yenne. ma non si erano nemmeno fermati, giusto un giro e via. Poi, al rientro a casa è successo l’incidente», racconta l’imprenditore. Il suo studio è tappezzato di fotografie di famiglia e di Tommaso: i primi anni di vita, l’adolescenza, i giochi e le cene con gli amici, i bagni in piscina e le partite di calcio con la maglia della Kosmoto sono le tappe della vita troppo breve di “Ziccu”, strappato all’affetto dei sui cari da una tragedia che non lascia pace. «Mio figlio è salito di sua volontà sua quell’auto, di questo non discuto, però io aspetto di sapere cosa è successo. Un papà deve sapere, mi devono dire perché mi hanno preso un figlio. E lo voglio sapere da chi guidava l’auto. Lui dice di non ricordare nulla, sarà assalito dai rimorsi, ma deve ricordare e lo deve fare subito perché io ho bisogno di sapere», si sfoga Marco Ugas.
Il pensiero vola al ragazzo che guidava la Ford Fiesta , Enrico Marongiu, 21 anni, di Monastir, ferito anch’egli nell’incidente, insieme all’altro passeggero, un 16enne di Monastir. «Gli amici di Tommaso si ritrovano davanti al cimitero: mi dicono che aspettano me, quando arrivo, per tenermi compagnia. In un certo senso mi fa piacere, è la misura di quanto volessero bene a mio figlio».
Ignazio Pillosu