Pan di Zucchero, assalto eolico a Porto Flavia
Settantasette pale, da oltre 300 metri, da piazzare davanti al faraglione di Masua e ai monumenti minerari d’IglesiasGli bastò un solo sguardo su quel proscenio incantato. Lui, Cesare Vecelli, figlio della Regia Scuola d’applicazione di Torino, non era semplicemente un ingegnere minerario. Le “sacre scritture” della grande epopea piombo-zincifera dell’Iglesiente lo annotano come “sensibile” alle condizioni di vita dei minatori e all’ambiente che li circonda.
Virtù rara
Virtù rara negli anni in cui le società minerarie erano straniere e voraci, pronte a svuotare senza fine le "capriole geologiche” della terra più antica, quella tra Buggerru e Iglesias, da Planu Sartu a Monte Nai, nella frazione iglesiente di Masua. Quando si rese conto delle condizioni di lavoro improbe dei minatori, il calvario dello scavo e del trasporto del minerale, non si diede pace. L’obiettivo era quello di introdurre nel processo estrattivo un circuito virtuoso di gallerie sovrapposte in grado di “scavare" all’interno della montagna un vero e proprio porto minerario, l’unico al mondo. Aveva bisogno, però, di un angolo di quella costa con un fondale adeguato per l’approdo delle navi-battello.
Porto dentro la montagna
Non ci pensò due volte: la soluzione era davanti a quel “faraglione dolce” che si stagliava imponente e altezzoso davanti all’insenatura di Masua, il più minerario dei borghi dell’antica Villa Ecclesiae. Il piano di Vecelli era chiaro: sfruttare il Pan di Zucchero per fermare il vento, utilizzando un binario estensibile per accompagnare su carrelli “ferroviari” il minerale direttamente dalla montagna alla stiva della nave, senza sfregiare quel tratto di mare con porti, insenature, moli o pontili. Nacque così Porto Flavia, dedicato alla figlia del grande ingegnere che rivoluzionò il trasporto minerario e le condizioni di lavoro. Ora, quella geniale intuizione, opera esclusiva d’arte ingegneristico-mineraria, è divenuta un monumento con i santi crismi di migliaia di visitatori ogni anno.
Affaccio in paradiso
Il motivo è racchiuso in seicento metri di “galleria-adventure”, da percorrere con tanto di casco e lampada a carburo, tutti dentro la montagna, sino al “paradiso” che di colpo si sprigiona come un “miracolo” sull’affaccio più esclusivo, proprio davanti al proscenio del Pan di Zucchero. Faraglioni posati come un’opera d’arte in mezzo all’orizzonte del mare blu cobalto, in una costa tanto selvaggia quanto misteriosa, suggellata da piccole e grandi insenature, monumenti minerari unici al mondo, dall’antica Laveria Lamarmora a panorami mozzafiato.
Petrolieri del vento
Se potete, andate a lustrarvi occhi e anima, fatelo subito, ma non perdete tempo: il 19 luglio scorso il Ministero dell’Ambiente e della “Devastazione eolica della Sardegna” ha chiuso le procedure per l’esame del primo impianto eolico a mare presentato in Sardegna. Un progetto fino a poco tempo fa di proprietà di un’anonima quanto sconosciuta società da diecimila euro di capitale sociale, la «Ichnusa Wind srl». L’attraversata burocratica di questo “trabiccolo” societario nel Dicastero passato da Cingolani a Pichetto Fratin è stata lunga e tortuosa, sino alla discesa in campo dell’Ente di Stato petrolifero per eccellenza, l’Eni. Di punto in bianco, la compagine, da marginale, si è fatta imponente, persino con un partner industriale straniero, la Copenhagen Offshore Partners.
“Delitto” eolico
Il progetto subisce un’accelerata negli ultimi mesi, compreso l’invio “secretato” di un commissario ministeriale sul luogo del futuro “delitto” eolico. L’obiettivo è approvare in tempi rapidi un progetto da 42 pale, alte 300 metri, da piazzare proprio davanti al Pan di Zucchero a ridosso dell’Isola di Carloforte. Un progetto devastante il cui approdo dovrebbe essere nell’eternamente bistrattata Portoscuso, nonostante la totale contrarietà dell’Enel che su quel progetto offshore intravvede un pericoloso nemico per i suoi affari nel Sulcis. Il disastro, però, non è finito.
I danesi di Vestas
Chi sollecita come non mai l’avanzamento è il secondo progetto per quello specchio acqueo: altre 35 pale per altri 525 megawatt di potenza. A presentarlo l’ennesima anonima “srl”: la Thalassa Wind. Questa volta alle spalle c’è nientemeno che la più potente delle produttrici di pale eoliche al mondo, la Vestas. Azionista della scalata eolica tra Carloforte e Masua è la “Wind Power Development”, uffici nel quartier generale del business eolico in Danimarca. Lo dichiarano senza infingimenti: società indirettamente e interamente posseduta da “Vestas Wind System”, insomma, dal produttore al consumatore.
Guerra eolica
Tutti i Comuni sono contrari, il mondo della pesca e le storiche “Tonnare” di Carloforte e Portoscuso sono sul piede di guerra, il mondo del turismo è sugli scudi. Su questa costa selvaggia e mineraria, esclusiva e affascinante, ora incombe un “muro eolico” destinato a devastare per sempre il futuro di questo territorio con l’ennesimo sopruso di Stato.