Diciassette coltellate non l’hanno uccisa. Ma l’hanno costretta a svegliarsi in un incubo peggiore della morte: vivere senza Mirko Farci, suo figlio, che ha dato la vita per proteggerla. Era l’11 maggio del 2021. Ieri, 12 marzo, la Cassazione ha confermato per il suo assassino, Masih Shahid, la condanna all’ergastolo. Ma per Paola Piras il processo non è ancora finito. Non quello in tribunale, ma quello della pubblica gogna.

I social non hanno pietà: «Lui imperdonabile… Ma una percentuale di colpa ce l’ha anche la madre. Che secondo me, se ha realizzato, non dormirà per il rimorso», scrive qualcuno. Un commento affilato come una lama ha riaperto ferite mai rimarginate. Come se il dolore non fosse già abbastanza, come se il lutto dovesse anche essere giustificato.

Paola Piras risponde con rabbia e dignità: «Ho realizzato, non si preoccupi» e dopo un insulto secco, duro, carico di dolore. Lei non è solo una donna a cui è stato ucciso il figlio, ma è anche una sopravvissuta a un femminicidio. E oggi mentre convive con il suo dolore, continua a difendersi dalla violenza verbale che si è scatenata sui social solo per aver amato l’uomo sbagliato. 

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