Delineare le relazioni esistenti tra la violenza domestica e la sofferenza di patologie con dolore cronico, tipo fibromialgia. È l'obbiettivo del progetto dedicato a Giusi Massetti, uccisa insieme ai due figli, dalla furia del marito Roberto Gleboni. Un progetto voluto dall’associazione di volontariato Cfu-Italia (comitato fibromialgici uniti) di cui Giusi Massetti era volontaria attiva, e che da il via ad una collaborazione con l’associazione il Nido di Ana, presieduta da Anna Vigilante, associazione impegnata nell’ascolto, incontro e protezione per tutte le donne che subiscono violenze e maltrattamenti.

A una settimana dai funerali di Giusi Massetti, dei figli Martina e Francesco e del marito Roberto Gleboni, morto suicida dopo avere compiuto la strage famigliare, Cfu-Italia ha elaborato percorso finalizzato all’elaborazione di un progetto basato sui punti di contatto delle due realtà – l’una dedita alla sindrome fibromialgica, l’altra a contrastare la violenza di genere – e a verificare il come e perché le donne che subiscono violenza domestica sono più predisposte a sviluppare la fibromialgia, delineare le relazioni esistenti tra la violenza domestica e la sofferenza di patologie con dolore cronico.

È Vigilante, medico, studiosa di medicina di genere, ad entrare nel dettaglio. «La violenza di genere – spiega - è stata assimilata da studi multicentrici dell’Organizzazione mondiale della Sanità al disturbo post traumatico da stress. Le donne che hanno subito violenza sono dunque più soggette ad una fragilità di salute e alla comparsa, anche dopo anni, di dolori cronici. Il disturbo post traumatico da stress e la sindrome fibromialgica hanno in comune il fatto che colpiscono prevalentemente le donne e recenti studi confermano che sono copresenti nel 20 per cento dei casi di chi subisce vessazioni. Vi è quindi un grado di sovrapposizione dei sintomi psicologici e fisici» Di qui il progetto, «che dedichiamo, ovviamente, a Giusi», puntualizza Barbara Suzzi a nome del direttivo e delle referenti sarde.

«Quanto successo ci ha profondamente segnato. Giusi era una nostra iscritta, era una volontaria attiva, presente. Era in sezione pochi giorni prima della tragedia. Era sorridente, socievole, determinata, mai aveva confidato nulla sulle tensioni in famiglia nonostante frequentasse regolarmente il gruppo. Questo ci ha fatto riflettere su come la violenza domestica non venga confidata, neppure all’interno di una realtà come la nostra, in cui si condivide il dolore fisico e mentale, la malattia, lo stigma che alla nostra patologia si accompagna, la solitudine. Così abbiamo deciso di attivarci, oltre che sulla patologia, sulla violenza di genere». Dalle presidenti delle due associazioni associazioni l’invito alle donne a parlare, «senza incappare in sentimenti di vergogna, umanamente comprensibili ma da debellare, che rischiano di imprigionarle»

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