È giusto che il marito e padre violento resti senza armi in casa. A prescindere dall’esito dell’eventuale processo penale nei suoi confronti. 

Lo ha stabilito il Tar della Sardegna, chiamato a decidere sul ricorso presentato da un uomo, residente nel Nuorese, che aveva contestato il provvedimento adottato dalla Prefettura barbaricina – il divieto di detenzione di armi e ordigni nella sua disponibilità –  adottato su segnalazione dei carabinieri del comando di un paese della zona (tutti i dettagli sono omessi per tutelare donna e figli). 

La decisione dell’ufficio territoriale del Viminale era stata adottata a gennaio del 2020 sulla base di un rapporto dell’Arma, basato sulla denuncia della moglie del ricorrente.  La donna aveva raccontato «di avere subito ripetuti maltrattamenti, l’ultimo dei quali risalente al 23 dicembre 2019, allorché il ricorrente l’aveva percossa violentemente fino a che la stessa non era riuscita ad allontanarsi dall’abitazione con i propri figli minori». Inoltre il successivo 3 gennaio 2020, nel corso di una conversazione telefonica, «il ricorrente l’aveva minacciata di morte e, già in data 14 settembre 2019, l’aveva gravemente offesa formulando analoghe minacce nei confronti di tutti i componenti della famiglia» e aveva manifestato «intenti autolesionistici estremi, allontanandosi dal domicilio portando con sé una pistola». Aveva anche fatto presente «che il ricorrente teneva un atteggiamento da “padre padrone” connotato dall’assoluto controllo finanziario della famiglia e da ripetute violenze fisiche e psicologiche, compiute anche in presenza dei sei figli, iniziate fin dal 2006». 

La donna, insomma, aveva raccontato una vita da incubo, vissuta nella paura di un uomo che in casa teneva armi. La Prefettura gliele aveva tolte. 

Lui ha fatto ricorso. Spiegando, tra gli altri motivi,  che la Procura avesse chiesto l’archiviazione del procedimento penale che lo vedeva indagato per maltrattamenti. 

Per i giudici del Tar «la valutazione svolta dal Prefetto, nell’esercizio dell’ampia discrezionalità allo stesso attribuita nella materia all’esame, circa la gravità dei fatti emergente dalla informativa dei Carabinieri, chiaramente rappresentata nella motivazione del provvedimento, prescinde dalle sorti del procedimento penale». Quindi «la pacifica esistenza di una situazione di grave conflittualità in atto nella sfera familiare, sulla quale è fondata la motivazione del provvedimento impugnato», per il Tar «deve ritenersi di per sé sufficiente a giustificarne l’adozione». Niente armi al marito e padre violento, hanno stabilito i giudici. 

Enrico Fresu 

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