L’inferno nero di Orotelli & l’affare del fuoco
Viaggio nel deserto di cenere: centinaia di capi ovini arsi tra le fiamme, devastati boschi e macchiaPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Il paese è un monumento a cielo aperto. Il “genio naturale” lo ha modellato e plasmato in millenni, con acqua rigogliosa e vento furioso. Ogni colata di granito bianco argento posata nella terra di Orotelli appartiene alla “statuaria naturale” di un proscenio sino a ieri intriso di ginepri e querce, di sentieri lussureggianti di un verde misteriosamente irriproducibile. Sino a ieri, appunto. La notte, l’ennesima nella storia moderna della malvagità incendiaria, è stata un inferno. Le lingue di fuoco, dopo ore e ore di Canadair ed elicotteri, non hanno dato segno di cedimento, obbligando esausti volontari, giunti sul fronte delle fiamme dai solidali paesi confinanti e non solo, a sbarrare gli occhi per tutta la notte davanti all’ultima trincea, prima delle case.
Lo spettro dell’alba
Il risveglio dell’alba è spettrale. Il fronte dell’inferno si è spinto sino all’ultimo metro prima del centro abitato, dopo aver trasformato quel che ha travolto nella furiosa avanzata notturna in polvere bianca e deserto nero. Non ha risparmiato niente. Ha divelto le recinzioni zincate, attorcigliandole come se dovesse rispedire quel ferro in fonderia, si è infiltrato senza tregua nelle minuscole fessure di quei muretti a secco che segnano da sempre i “tancati” delle campagne, degli ovili, dei santuari campestri.
Lotte di potere
La vedetta, quella della forestale, la intravvedi a ridosso di uno dei monumenti della natura, inerpicata nel punto più alto rispetto alla devastazione appena passata in “pompa magna” davanti agli occhi della notte. Lo sguardo è rassegnato, seppur vigile e con binocolo d’ordinanza. In una Regione dove le lotte di potere per spartire comandanti e direttori hanno eluso da tempo satelliti e modernità tecnologica, organizzazione e pianificazione del rischio, non resta altro che la mesta conta dei danni, come se il “rito funebre” del fuoco fosse una maledizione caduta dal cielo.
Impronta lunare
Quei pochi sguardi rimasti sul “teatro di guerra” sono fessurati di sangue, come se l’incedere delle fiamme si fosse prodigato a tal punto da segnare anche gli occhi di chi ha provato in ogni modo a fermare quella furia. Quel che era terra ora è soffice polvere, croccante, ancora calda, avvolgente, ridotta a pulviscolo cospicuo, ma impercettibile al tatto. Le impronte restano impresse come quelle di Neil Armstrong sul terreno lunare, solo che qui il disastro è tutto terrestre. Ogni pietra monumentale forgiata dalla natura qui ha un nome, un soprannome e anche la libera interpretazione dei simboli. Da ieri, però, quelle pietre d’argento granitico, sono diventate nere. Non solo cosparse di cenere e colate di fuoco, ma aggredite a tal punto da segnarne la composizione chimico-fisica, sino a spaccarle, distaccando per sempre la corteccia rocciosa. Se posi la mano su quella statuaria di Orotelli, disseminata nell’epicentro delle fiamme, la senti friabile, ancora bollente, pronta a sgranarsi in polvere.
Cimitero di fuoco
Quel viottolo tracciato tra muretti a secco e selciati naturali sarebbe dovuto essere l’argine per spezzare la rincorsa delle fiamme, ma non c’è stato verso. Le greggi restano inermi, poggiate su quelle pietre chiamate a svolgere l’improbo compito di scudo ignifugo. Niente da fare. La trappola è letale per centinaia di animali, pecore soprattutto, rimaste travolte dall’avanzata funesta delle fiamme. Un immenso cimitero, quando la conta non è ancora iniziata. In meno di 24 ore di luce, il fuoco, in tutta l’Isola, da Burgos a Solarussa, da Orotelli a Bottida, da Bonorva a Portoscuso, ha raso al suolo mille ettari di campi, boschi e macchia mediterranea, devastato aziende, ucciso bestiame e raso al suolo paesaggi e natura. Una Sardegna in fiamme, con molti interrogativi e troppi buchi neri. La mano che arma gli incendiari è sempre la stessa? Si tratta di “piromani” del fine settimana, oppure c’è una strategia che mira a devastare l’Isola per farne terra di conquista? È un tema delicato, dove si annidano pesanti interessi economici, a partire dai bandi della Regione sarda per l’antincendio.
Il cartello del fuoco
Lo abbiamo dimostrato in precedenti inchieste del nostro giornale: la Sardegna era governata da un “cartello del fuoco”. Su quella vicenda si è persino arrivati all’incriminazione, anche penale, di un’ampia platea di beneficiari del business che proprio sull’Isola, in base alle condanne dell’Antitrust, avevano realizzato un vero e proprio “connubio del fuoco” proteso al massimo guadagno possibile, con bandi che apparivano preconfezionati per ottenere guadagni direttamente proporzionali alle ore di volo. Un’equazione spaventosa, più incendi più guadagni, da far rabbrividire, per un servizio che dovrebbe essere solo pubblico, sottratto senza indugi ai privati.
Gestione pubblica & ricatti
Si potevano coinvolgere i Vigili del Fuoco, dotati di una propria flotta di elicotteri, si potevano rendere utili, per una volta, i mezzi aerei dell'Esercito. Sia la precedente Giunta che quella in carica, invece, hanno preferito cedere al sibillino “ricatto” delle compagnie dell’antincendio che per ben quattro volte hanno disertato la gara, mettendo in atto una sorta di cartello “astensionistico”. Un meccanismo che poteva preludere a suggerire compensi più elevati o, peggio, mettere in difficoltà la Regione visto che aveva osato chiedere, in sede giudiziaria, un risarcimento milionario per il cartello degli anni passati. Le pietre bianche e granitiche di Orotelli ora sono nere.