«Era in una pozza di sangue, pensavamo che fosse stato incornato da una mucca o un vitello».

Oggi in Corte d’assise a Nuoro è andato in scena il drammatico racconto del ritrovamento del cadavere di Esperino Giobbe, allevatore di 73 anni ucciso il 17 ottobre 2020 nella sua azienda, omicidio di cui è accusato il nipote 41enne Gian Michele Giobbe, che lavorava con lui.

La moglie e una figlia della vittima hanno ricordato quegli attimi.

«Alle 11 – ha detto Giovanna Maria Sale – mio marito non era ancora rientrato a casa, così abbiamo iniziato a chiamarlo al cellulare ma non rispondeva. Io e mia figlia siamo andate in azienda, c’era la sua auto parcheggiata ma lui no. Abbiamo subito chiamato Gian Michele, che ha poi trovato il corpo di Esperino nel recinto del bestiame riverso in una pozza di sangue. A quel punto abbiamo telefonato al 118 e ai carabinieri».

La testimonianza di Maria Chiara Giobbe, figlia della vittima: «Gian Michele ci disse subito che mio padre era morto ed era molto sorpreso perché ci aveva raccontato di averlo visto vivo in azienda intorno alle 11. Abbiamo pensato a un incidente sul lavoro, un vitello o una mucca potevano averlo incornato. Nulla lasciava presagire un omicidio, anche perché mio padre non aveva nemici».

Pochi giorni dopo l’autopsia ha svelato la causa della morte dell’allevatore, 15 colpi in testa sferrati con violenza con un corpo contundente, forse una spranga di ferro. Il nipote finì in carcere diversi mesi dopo, il 9 giugno 2021, incastrato da una macchia di sangue trovata sul suo scarponcino il cui Dna era compatibile con quello dello zio.

Secondo l’accusa il movente sta nei dissidi per la gestione di alcuni terreni nelle campagne di Sa Serra, ragion per cui è indagato un altro nipote della vittima, Gian Mario Giobbe.

Il processo è stato aggiornato al 12 dicembre prossimo quando saranno sentiti altri sei testimoni dell'accusa. 

(Unioneonline/L)

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