Hanno controllato tutto, non hanno tralasciato neanche uno degli scenari alternativi ipotizzati dalle parti civili: il traffico di armi, americani palestinesi e israeliani in guerra nella rada di Livorno, le complicità italiane, i servizi segreti, la nebbia che non era nebbia, la manomissione dei radar, il traffico di carburante, la navi misteriose, l'elicottero fantasma, l'attentato. Tutto. Hanno verificato e la risposta non è cambiata: è della plancia del Moby Prince la colpa della collisione nella rada di livorno, alle 22,22 del 10 aprile 1991, fra il traghetto diretto a Olbia e la petroliera Agip Abruzzo, costata la vita a 140 persone, il mozzo Alessio Bertrandt unico superstite. Del resto, non è l'unico caso: il 14 marzo 1996 il traghetto Karalis della Tirrenia nella rotta fra Cagliari e Civitavecchia finì sugli scogli dell'isola di Serpentara con 447 persone a bordo.

Nella richiesta di archiviazione i pm di Livorno Carla Bianco, Antonio Giaconi e Massimo Mannucai - che hanno riaperto le indagini nell'ottobre 2006 su istanza dei figli del comandante - individuano forti analogie tra i due incidenti. «Come è potuto accadere che il Karalis, su una rotta abituale, sia andato a collidere con un'isola rocciosa segnalata dalle carte nautiche da epoca medievale, visibile ai radar e ben conosciuta dal personale di plancia, così è potuto accadere che la plancia del Moby Prince abbia clamorosamente errato la sera del 10 aprile 1991: non essendo a conoscenza della presenza della petroliera nella rada del porto di Livorno, hanno impostato la rotta abitualmente seguita, inciampando in un banco di nebbia imprevisto (ma non imprevedibile) e andando a collidere con una petroliera alla fonda certamente meno visibile di un'isola». Non solo: i pm ricordano l'incidente dell'11 settembre 2003 quando il Moby Magic, partito da Livorno e diretto a Olbia con 165 persone a bordo, urtò uno scoglio sommerso vicino a La Maddalena, sulla secca dei Monaci. Anche lì la responsabilità era dell'ufficiale di guardia in plancia. Ancora, la collisione del 26 giugno 2006 quando il Moby Fantasy appena salpato da Olbia centrò in porto la fiancata del traghetto Nuraghes della Tirrenia in arrivo: il procedimento penale è in corso ma «risulta che la nebbia anche in questa occasione abbia avuto un ruolo significativo insieme agli evidenti errori della plancia nella conduzione delle navi». La sintesi finale: «Si può solo riaffermare con forza che l'incidente di Livorno si è verificato in primo luogo per una tragica sottovalutazione della situazione in rada da parte della plancia che ha lanciato la nave alla velocità di crociera quando ancora il traghetto non si trovava in mare aperto».

Dunque sono «infondate» tutte le altre ipotesi, «meno di ogni altra l'assurdo scenario della battaglia navale condito da prospetti di guerra tecnologica. È solo una congettura che il porto di Livorno fosse costantemente interessato da indisturbate operazioni illegali di traffico di armi o che la navigazione del Moby Prince e i soccorsi siano stati intersecati da azioni di fantomatici soggetti che vagavano per mare per scopi inquietanti o illeciti. Nessuna attività di copertura o depistaggio è stata mai posta in essere».

Ma le parti civili non ci stanno e attraverso gli avvocati Carlo Palermo, Livio Benot e Riccardo Floris si oppongono all'archiviazione. Ora il giudice per le indagini preliminari dovrà fissare l'udienza e decidere dopo aver valutato tutte le circostanze che hanno portato alla riapertura del caso.

LA STRANA NEBBIA Sarebbe stata diffusa ad arte una nebbia artificiale in una zona in cui si stava svolgendo un illecito trasbordo di armi, traffico in cui sarebbero stati coinvolti, a seconda delle varie ipotesi, le navi Theresa e la Ship One, americani, israeliani e palestinesi, pescherecci locali, chiatte o bettoline, il tutto con la copertura consapevole delle massime autorità civili e militari. Ma la nebbia, dicono i pm, non era strana: «In mare la nebbia cala improvvisamente e non è omogenea. Non avvolge ogni cosa nel grigio indefinito ma si presenta a tratti e non si vede nello stesso modo da tutti i punti di osservazione, soprattutto di notte». Il fatto che il marconista della Agip Abruzzo durante l'sos abbia detto "Livorno ci vede e ci vede con gli occhi", frase interpretata come un argomento a favore dell'inesistenza della nebbia e dunque di qualcosa di artificiale creato per coprire traffici illeciti, significa solo che «la nave era talmente grande e illuminata che era impossibile non vederla, dunque il marconista non capiva le difficoltà nell'avvistamento dei mezzi di soccorso che trovano il traghetto in fiamme solo a mezzanotte».

IL TRAFFICO DI ARMI Le navi impegnate nel traffico illecito avrebbero causato l'impatto con la petroliera. «Lo spunto è venuto dalle dichiarazioni di un tenente della Finanza, Cesare Gentile: nel corso del primo processo ha detto di aver visto una barca che trasbordava armi. Partendo da questo si è detto che la rada di Livorno fosse solitamente interessata da movimentazioni di armi ed esplosivi non autorizzate o clandestine e che stava accadendo anche la sera del disastro: il traffico sarebbe avvenuto sotto gli occhi o addirittura la connivenza delle autorità con la sostanziale abdicazione del governo italiano a esercitare le sue prerogative a totale vantaggio degli Americani. La necessità di non scoprire il traffico e le connivenze avrebbe portato il comandante del porto a non attivare i soccorsi tempestivamente aggravando la sorte de passeggeri». Ma, sentito di recente dai pm, Gentile ha dichiarato di non ricordare di parlato di traffici di armi la sera della tragedia: le navi che aveva visto solitamente si occupavano di carichi di armi. Un equivoco. Anche perché «nessuna prova è stata acquisita a dimostrare che il porto e la rada fossero teatro di operazioni clandestine o coperte, men che mai la notte della collisione».

I DISTURBI SUI RADAR Le comunicazioni provenienti dal Moby Prince erano «difficili e soggette a interferenze». Si è ipotizzata una intenzionale attività di interferenza e di schermatura. Invece, scrivono i pm nella richiesta di archiviazione, «sulla potenza limitata del traghetto interferiva quella di una nave o stazione costiera francese, ecco perché la stazione radio di Livorno non è riuscita a percepire la chiamata di soccorso. Ma si devono escludere operazioni di manomissione. Anche perché «l'interferenza delle trasmissioni radio deve essere operata sulla stazione ricevente e la stazione di Livorno riceveva perfettamente tutte le altre comunicazioni. Quanto al radar, nessuna intenzionale schermatura, «il cono d'ombra è cosa assolutamente ordinaria». E i radar delle imbarcazioni che si trovavano nella zona dell'incidente sono sì impazziti - schermi bianchi, macchie luminose, bersagli confusi - ma dopo la collisione. Il tutto si spiega con «l'immissione in atmosfera di nubi di fumo, vapore e gas ad altissima temperatura. Anche l'incendio del Moby Prince ha influito sull'estensione della zona d'ombra».

LA PETROLIERA L'ipotesi è che a bordo della Agip Abruzzo fossero in corso operazioni non consentite di travaso di greggio: ci sarebbe stato un incidente e il conseguente incendio avrebbe prodotto il fumo che avrebbe nascosto la petroliera alla vista del timoniere del Moby Prince. Il tutto è legato alla ipotizzata presenza di una bettolina adibita al trasporto di idrocarburi e al bunkeraggio delle navi in rada e in porto: ne hanno parlano durante le richieste di soccorso gli uomini della Agip Abruzzo ("sembra una bettolina quella che ci è venuta addosso") e poi è stato accertato che il boccaporto di una cisterna era sbullonato e rimosso, prova dell'avvenuto travaso di carburante. Ma nessuna bettolina è risultata in servizio quella sera e il sopralluogo sui fondali effettuato nel giugno 2009 non ha dato risultati utili. Inoltre «il tankista della petroliera», scrivono i pm, «ha spiegato di aver dimenticato di chiudere il portellino, ha cercato di farlo dopo l'incidente, ha pure sfilato la manichetta ma non ci è riuscito per via dell'alta temperatura».

LA NAVE MISTERIOSA E È la Theresa che arriva improvvisamente, compie manovre azzardate, per due volte rischia la collisione con altre navi e dopo lo scontro fra il Moby Prince e l'Agip Abruzzo si dilegua. Non è mai stata trovata traccia di questa nave di cui parla anche un testimone considerato però molto poco attendibile dai pm: Fabio Piselli avrebbe partecipato, tra l'altro, alle operazioni di ricomposizione delle salme. Ebbene a suo dire le vittime sarebbero più di 140: sarebbero stati occultati i cadaveri di sei agenti segreti israeliani. «Piselli parla di una vera e propria azione di guerriglia piratesca attivata attraverso la presa del Moby Prince da parte di un commando israeliano in meno di due minuti». I pm annunciano che procederanno per calunnia nei confronti di Piselli che ha dato «una visione dei fatti che importa la commissione da parte di persone note o ignote, anche appartenenti a istituzioni degli stati italiano e israeliano, di reati gravissimi».

L'ELICOTTERO Tre testimoni hanno visto un elicottero volteggiare mezz'ora dopo l'incidente. Questo proverebbe «il coinvolgimento dei servizi segreti e delle massime autorità militari dello Stato in relazione alla copertura dell'abituale traffico di armi. L'elicottero non è mai stato identificato e non è risultato alcun decollo da basi italiane».

ESPLOSIONE A BORDO Un ordigno nel locale eliche di prua avrebbe causato un'esplosione a bordo del Moby Prince prima della collisione. La prova sarebbe nella presenza di composti chimici solitamente riconducibili a esplosivi militari. Per il pm l'ipotesi è «priva di fondamento». C'è stata solo la deflagrazione di «una miscela di vapori di idrocarburi e aria. Il greggio che dalla petroliera si è riversato sul ponte di coperta della prua e in mare ha liberato vapori infiammabili che sono stati aspirati dal sistema di ventilazione e si sono accumulati nel locale bow thruster saturandolo in pochi secondi. Appena le fiamme si sono diffuse si è innescata l'esplosione».

MARIA FRANCESCA CHIAPPE
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