Il caffè della Tazza d'Oro non cambierà sapore. E neanche la filosofia. Non cambieranno le facce, la casa, i marchi, le miscele, quel profumo di sardità che a Macchiareddu si respira dovunque, dall'amministrazione ai magazzini. Sì, l'ingresso nel secondo gruppo italiano, il Cafè do Brasil, significa che la proprietà da ieri non è più la stessa, ma quei sacchetti partiranno ancora da Cagliari senza passare da Napoli, da dove detteranno la linea ma senza interferire con la ricetta. Quella che ha portato al successo un'azienda sarda doc, un marchio che fa parte della storia di Cagliari, la torrefazione che da tempo era nei desideri - in affari si chiamano “obiettivi” - del colosso napoletano, fra i leader mondiali nella produzione di caffè insieme all'italianissima Lavazza. L'amministratore e presidente della Tazza d'oro resta Luciano Carta, dal quale non arrivano dettagli economici sull'operazione: «Non parlo di cifre, ma ci tengo a sottolineare che la Tazza d'oro ha un bilancio sanissimo, certificato, utili importanti che ne fanno uno dei gioielli dell'economia isolana». Ma allora perché la storica torrefazione cambia proprietario?
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