"Sono ancora qua, pensavi che me ne fossi andato? No, finché tu proverai odio, rabbia, stizza, bugie io ti darò il tormento, forse proprio stanotte ti trascinerò nelle tenebre dell'inferno".

La voce registrata del demonio che terrorizzava le notti solitarie di un bambino undicenne era quella - artefatta - del padre secondo i giudici del Tribunale di Tempio che ieri hanno depositato le motivazioni della sentenza di condanna a otto anni per sequestro e maltrattamenti dei genitori e della zia del ragazzino di Arzachena tenuto chiuso nella sua stanza e liberato dai carabinieri un anno fa. Era stato lui stesso a chiamare il 112, unico numero che poteva fare con il cellulare senza scheda che aveva a disposizione. E sempre lui a esorcizzare, forse, quella violenza nel racconto dettagliato in un taccuino all'amica immaginaria Anne.

Le torture

I genitori, difesi dagli avvocati Alberto Sechi e Marzio Altana, e la zia, assistita da Angelo Merlini, avevano ammesso le loro responsabilità. Una scelta che però non ha spinto i giudici a concedere le attenuanti generiche. «Trattasi di persone - scrivono - assolutamente prive del benché minimo senso morale e di umanità, spietate e senza scrupoli, le quali non hanno esitato ad abusare, letteralmente torturandolo, di un soggetto di minore età assolutamente indifeso ed alla loro mercè». Il tutto in nome di un «degenerato senso educativo». Ma usare la violenza per educare, ricordano ancora i giudici, «non è consentito ed è anzi condotta illecita».

La zia guru

Nelle motivazioni si mettono in evidenza i diversi, e patologici, rapporti di forza che erano stati sottolineati dai difensori dei genitori. Ma non sufficienti a mitigare la condanna per loro. Per quanto il comportamento della zia abbia avuto un ruolo rilevante «quale guru in senso negativo e deteriore degli altri due imputati, probabilmente soggiogati dalla sua personalità manipolatrice e priva di scrupoli, è indubbio che anche gli altri due imputati non hanno esitato a porre in essere le condotte criminose». In particolare la sentenza non fa sconti al padre, che aveva i messaggi del diavolo nel suo cellulare, e che nella prima fase del procedimento, appariva quasi una figura sullo sfondo. E nessuno sconto neppure sul ravvedimento «tardivo» che non è servito a salvare il piccolo prigioniero. Il ragazzino, dipinto come difficile, si è salvato da solo.

Caterina De Roberto

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