Eolico, scatta la devastazione «irreversibile»
Carico ciclopico di pannelli “cinesi” appena arrivati alle pendici del Monte Arcosu, assalto di pale sul Monte LinasLe “braccia d’acciaio” delle gru eoliche venute da lontano hanno cominciato ad inerpicarsi sull’orizzonte della grande montagna del “Paese d’Ombre”. Lo skyline di Villacidro è da sempre il Monte Linas, marchio indelebile della storia arcaica di una “terra di mezzo”, tra il Campidano e la Marmilla, tra l’oristanese e il cagliaritano. Inizialmente le pendici le hanno devastate la petrolchimica e la metallurgia primaria, con le ciminiere della Snia e la fonderia di San Gavino, poi ci hanno pensato le prime torri eoliche giunte da Bolzano e dintorni, piazzate lì davanti senza bussare alla porta di Sa Spendula. Le “ombre” di quelle prime “affettatrici” volanti d’altura si sono schiantate come “assaggio” di un’immensa speculazione energetica destinata a stravolgere quella che fu la zona industriale di Villacidro. Ora, consumato ogni metro quadro di ciò che resta di quel “cimitero”di industrie di Stato, i “signori del vento” hanno rivolto lo sguardo all’ultimo paesaggio verde di questo lembo agricolo.
Paesaggio industriale
C’è da trasformare in “paesaggio industriale” l’ultima frontiera di terre rigogliose e campi irrigati rimasta sino ad oggi intonsa e illibata. Notte e giorno, sotto il sole e sotto la luna, qui, tra Pimpisu e il villaggio di San Michele, i mezzi meccanici non hanno tracciato viottoli d’accesso, ma autostrade imponenti di polvere e smisurati movimenti terra. I grandi articolati, dal Porto di Oristano, ormai, viaggiano a pieno carico, comprese quelle “eliche” immonde che da qualche giorno hanno raggiunto quelle praterie strappate all’agricoltura. Tutto è adagiato in dieci piazzali, tutti sventrati anzitempo, per innervare le profondità a colpi di cemento armato, non meno di mille metri cubi di calcestruzzo iniettato nel sottosuolo, tutto circondato da un pericolo idrogeologico che le carte segnalano come “elevato”.
Cantiere-spia
Quello di Villacidro, il cantiere della Das, la società piemontese sbarcata in terra di Sardegna, è un “cantiere-spia”. È, infatti, il primo caso di studio della “legge-moratoria” approvata il 5 luglio scorso dal Consiglio Regionale. Tutto autorizzato, sia ben chiaro, già da tempo, nonostante le tante perplessità e i molti dubbi su quel progetto. Questo avvio di lavori, però, è il primo a doversi misurare sulla “consistenza” legislativa della nuova norma regionale che ha sancito un “generico” quanto “indefinito” «divieto di realizzare nuovi impianti di produzione e accumulo di energia elettrica da fonti rinnovabili». Un passaggio ancor oggi privo di alcun riscontro concreto e oggettivo: cosa blocca quella legge? Quali sono le opere “vietate”? La legge non solo non lo dice, ma non circoscrive nemmeno la tempistica di quei divieti. Non inquadra, per esempio, il divieto alla «data di inizio dei lavori», non individua una soglia di realizzazione da raggiungere entro la quale bloccare i cantieri. Un elemento, però, sembra indicare una “soglia” oltre la quale si dovrebbe intervenire, senza tergiversare. È tutto scritto all’articolo uno, quello che dovrebbe tracciare la “rotta” e la “ratio” della disposizione normativa: «La presente legge detta disposizioni di carattere transitorio al fine di scongiurare l'irreversibilità degli impatti sul territorio regionale derivanti dalle attività di realizzazione, installazione o avviamento di impianti di produzione e accumulo di energia elettrica da fonti rinnovabili».
No all’irreversibilità
La definizione chiave è tutta in due parole: «scongiurare l'irreversibilità». Tradotto significa che un intervento edificatorio, in questo caso la costruzione di una vera e propria centrale eolica, per evitare «l’irreversibilità» del danno al paesaggio e al territorio, deve essere fermato. Ad oggi, in quel cantiere, su 50 pezzi di piloni, ne è stato elevato solo uno, come dimostrano le immagini aeree che pubblichiamo. Un unico “pezzo” che già da solo scollina sull’orizzonte del Monte Linas, ma si tratta di un impatto che non ha ancora raggiunto «l’irreversibilità» dell’intervento complessivo. Non fermare quel cantiere, prima di “sfondare” la soglia dell’irreversibilità, significa violare un principio fondante di quella disposizione. L’incipit legislativo dovrebbe essere scontato: fermare lo scempio prima che sia compiuto. Non farlo significa violare esplicitamente un dettato legislativo, incorrendo in una grave omissione.
Il “carico” cinese
Se sul fronte del Monte Linas ci sono ancora tutte le pale da innalzare, sul fronte di Monte Arcosu, davanti all’Oasi del Cervo, lo sfregio è preannunciato in grande stile, segnato da un “carico” milionario di “pannelli” cinesi appena sbarcato su quelle pianure un tempo agricole. Anche in questo caso terreni che niente hanno a che fare con la zona industriale, circoscritti “burocraticamente” all’interno di Macchiareddu quando si pensava di sostituire le produzioni orticole e frutticole con petrolchimica e “amichetti” vari. Ora la distesa di “pallets” giunti direttamente dalla Repubblica Popolare Cinese danno l’idea concreta di una vera e propria invasione speculativa. Quando il drone sorvola quella catasta sterminata di scatole di “pannelli” ci si rende conto che anche qui il cantiere non ha ancora violato la soglia della «irreversibilità». Anche in questo caso lo sfregio non è ancora compiuto. La legge-moratoria, però, forse, anche qui, è inutile.