Ospitato presso un locale parrocchiale, a due passi dal Tempio Nuovo di Arzachena, il Museo del Pane, piccolo e raccolto, è tuttavia grande per i ricordi e la storia degli arzachenesi, quelli di una volta.

Era chiamato la “Casedda di lu furru”, ed era uno tre forni del paese, dove le donne si recavano per cuocere il pane precedentemente preparato nelle case. Era sempre acceso e in temperatura, ricorda Mario Sorgiu, appassionato cultore di storia locale. Effettuata la cottura, che non durava moltissimo, veniva lasciato alla famiglia proprietaria del forno un obolo. Che era equivalente ad 1/5 o 2/10 del pane che veniva cotto. Le massaie che portavano i loro pani per la cottura spesso vi giungevano con i loro bambini - all’epoca la popolazione era un po’ più prolifera - che stazionavano normalmente fuori dalla porta, nella strada in terra battuta; polverosa d’estate e con pozzanghere d’acqua d’inverno. Mentre si aspettava il proprio turno e durante la cottura, le massaie chiacchieravano tra loro e con i proprietari del forno, scambiandosi informazioni, raccontando delle vicende domestiche proprie e altrui, delle condizioni di salute proprie o dei familiari nonché delle ultime novità ... fino ai vari pettegolezzi. Svolgeva dunque il forno un ruolo sociale, d’intrattenimento, aggregante e di condivisione, di gioie e dolori, ansie e preoccupazioni, tra amicizie, gelosie e anche rivalità. Un forno che cominciò a svolgere questa attività negli ultimi decenni dell’800 fino a oltre la metà del secolo scorso quando pian piano, nelle case di Arzachena iniziarono ad arrivare le cucine economiche e poi quelle a gas, i forni si ingrandirono, con pane di propria produzione venduto negli stessi locali o ai negozi di alimentari, dove si poteva acquistare senza più la necessità di andarlo a cuocere, il pane, alla“Casedda di lu furru”.

Il piccolo museo è aperto tutti i giorni, in Via Tenente Sanna 30, nel centro storico di Arzachena.

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