Dovrebbe essere un’unità a “bassa intensità”, dunque non per malati gravi, perché non ci sono respiratori, ma anche all’ospedale Marino - come al Santissima Trinità e al Binaghi (pieni entrambi) – arrivano positivi con sintomi da mezza Sardegna, da Carbonia, da San Gavino, da Oristano, da Nuoro, oltre che dalle altre strutture cagliaritane in teoria Covid free, e la situazione sta diventando ingestibile.

Al Marino nell’ultimo reparto Covid aperto (sabato scorso) in città, su 38 posti letto, 20 sono già stati occupati. Il resto, di questo passo, lo sarà nel giro di un paio di giorni.

C’è soltanto un medico, aiutato da un po’ di infermieri, a seguire tutti i pazienti, e la mancanza di personale è un problema diffuso in tutta l’Isola.

I NUMERI – La Sardegna è in controtendenza rispetto a molte regioni: i ricoveri sono ancora in aumento, la percentuale di occupazione dei posti letto in area medica Covid ora è a quota 26%, le terapia intensive scendono al 14% secondo i dati Agenas.

Come è successo per i tamponi – il fatto che fino alla scorsa settimana venissero tenuti in considerazione soltanto quelli molecolari faceva sì che la situazione sulla circolazione del virus nell’Isola fosse molto sottostimata – per i ricoveri il discorso è analogo.

“I nostri posti sono praticamente tutti occupati – dice il direttore sanitario del Pou Sergio Marracini – e più di questo non siamo in grado di fare, anche perché medici non ce ne sono più, e quelli che ci sono stanno letteralmente scoppiando”.

MONOCLONALI AD ALGHERO – Le terapie monoclonali intanto sono già in uso in diversi ospedali (undici le strutture autorizzate), ma l'ambulatorio appena inaugurato ad Alghero è unico nel nord Sardegna.

“Qui la sfida – spiega Antonietta Bifulco, referente per le terapie Covid territoriali dell'Asl di Sassari – è stata portare la terapia al di fuori delle corsie degli ospedali”.

Ieri pomeriggio sono arrivati i primi tre pazienti fragili per sottoporsi alle terapie monoclonali. Persone dializzate, che con il Covid rischiano di sviluppare le manifestazioni più pericolose della malattia. “L'obiettivo è quindi decongestionare le strutture ospedaliere, – prosegue la referente – evitando che i pazienti accedano in aree no-Covid, contaminandole. In questo modo c'è un rischio ridotto anche per gli operatori sanitari. Qualsiasi evento avverso, infine, potrà essere facilmente controllato, vista la vicinanza con il Pronto soccorso”. In linea d'aria, meno di cento metri. 

(Unioneonline)

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