L'immagine è quella di un lager, recinzione alta oltre due metri, un fossato profondo dieci. L'impatto, per chi lancia lo sguardo oltre la trincea, è spettrale. Una chiazza nero-grigia, con tonalità sempre più vicine alla maledizione. Un pugno negli occhi e uno allo stomaco. La proiezione dell'orizzonte non lascia adito a dubbi. Su almeno tre fronti la discarica della Riverso, nel cuore di Monte Onixeddu, a due passi da Gonnesa, a un tiro di schioppo da Carbonia, è appesa sulla cima più alta del promontorio. Uno dei versanti di quella collina di veleni, quello più visibile, l'argine ovest, rivolto verso valle, è già segnato dalle rughe del dilavamento. Solchi che si stagliano lungo la linea di massima pendenza, con un risultato scontato anche per chi non ha il senso del dislivello. Una discarica di rifiuti pericolosi, posizionata nel punto più alto dell'orizzonte, è un innesco ad orologeria. I rischi si chiamano percolati e infiltrazioni. Impossibile gestirli in piena efficienza in pianura, figuriamoci in altitudine. I residui liquidi e velenosi che l'accumulo di rifiuti produce, sia per le acque piovane che per i flussi carsici delle risorse idriche, sono come un cannone caricato di veleni. Pronto a sparare in ogni istante.

Bomba a orologeria

Il Servizio di valutazione d'impatto ambientale dell'assessorato regionale non l'ha solo pensato. Lo ha scritto a chiare lettere nell'esame dell'ampliamento richiesto dalla Riverso: «Una discarica - scrivono i tecnici regionali - introduce un elemento di vulnerabilità dovuto alla lunga fase di gestione e post gestione, all'impossibilità di verificare in tempo reale la perfetta tenuta dei sistemi di confinamento, con i rischi per sottosuolo e acque sotterranee, e alla difficoltà di attuare azioni dirette per la risoluzione di eventuali problematiche legate all'ammaloramento di tali sistemi, da cui spesso consegue la trasformazione delle aree interessate in siti inquinati. Questi elementi - conclude il Servizio tecnico - acquistano maggiore rilevanza nel caso dei rifiuti pericolosi». La traduzione è semplice: quella discarica sarà, per sempre, una minaccia ambientale senza precedenti per l'intero territorio circostante, a partire dalle acque sotterranee. E dinanzi al potenziale disastro sarà impossibile intervenire a posteriori. È per questa elementare ragione che meno discariche si fanno e meglio è.

La bocciatura

La Regione ha bocciato senza appello il piano per trasformare quella discarica nel grimaldello della lobby italiana dei rifiuti, con l'obiettivo confessato di riempire la Sardegna di ogni genere di veleni spediti nell'Isola da ogni angolo dello Stivale. Il piano da pattumiera di Stato, concepito dai signori della Riverso, avrebbe esaurito in un batter d'occhio la discarica di Carbonia con i rifiuti pericolosi provenienti dalle ricche regioni del nord e da quelle più "grasse" del centro. La conseguenza è scontata: non essendoci più spazio per i rifiuti prodotti in Sardegna, si sarebbero dovuti individuare nuovi siti, con ulteriori danni per l'ambiente. L'ipotesi di nuove discariche non getta nella disperazione la lobby dello smaltimento di rifiuti, figuriamoci quelli pericolosi, da sempre considerati la vera slot machine del sistema.

Contatore degli affari

Chi se ne frega se nell'Isola del mirto e del lentischio si devono riempire di rifiuti nuove buche o elevare nuove montagne di veleni. L'importante è che il contatore degli affari milionari giri a pieno ritmo. Lo scontro è titanico. Non in termini figurati. I toni che emergono dagli atti della procedura avviata dalla Riverso per ottenere il via libera al sesto e settimo anello di veleni sono quelli di una guerra al fulmicotone. Nella delibera della Giunta regionale di fine 2020 non si usano bon ton e salamelecchi: «Si prende atto della volontà del proponente di non fornire le informazioni utili per valutare la compatibilità ambientale che ha tra i suoi presupposti il principio di prossimità».

Le balle sull'esclusiva

Il colpo letale è sulle balle raccontate sul primato della discarica Riverso a livello italiano. I documenti, quelli pubblicati ieri dal nostro giornale, attestavano come la montagna di veleni di Serra Scirieddus fosse l'unica nella penisola in grado di soddisfare le esigenze del mercato italiano. Falso, scrive la Regione. I conferimenti di rifiuti extraregionali dal 2018 a parte del 2020 provenivano prevalentemente dalla Lombardia e dal Lazio. Dal rapporto annuale dell'Ispra la verità è messa nero su bianco: nella Regione Padana, nel 2018, esistevano una decina di discariche per rifiuti non pericolosi e due per rifiuti pericolosi. E anche nel Lazio, nel 2018, sono stati conferiti centinaia di migliaia di metri cubi di rifiuti pericolosi e non nell'unica discarica autorizzata nella cinta romana.

Lo schiaffo

La conclusione è uno schiaffo: «Ciò testimonia l'esistenza di alternative allo smaltimento presso la discarica Riverso». Dunque, per il servizio di valutazione ambientale, la partita è chiusa: ogni regione si tenga i propri rifiuti, a partire da quelli pericolosi. La Riverso non ci sta e dichiara guerra. Scontro campale, dal Tar alle accuse esplicite. La compagine che gestisce la collina dei veleni più che una S.p.a. è un castello societario familiare. Decine di sigle, un mare magnum di rifiuti. Nel vortice della famiglia Colucci, perno del sistema societario, ruotano la Sistema Ambiente Spa, Latina Ambiente Spa, Ecologia Viterbo, Euroambiente, Terracina Ambiente, Aquila Ambiente, il Consorzio interporto Roma e la Daneco, la capostipite che ha, poi, di fatto, scalato la Ecodump trasformata successivamente in Riverso S.p.a.

Colucci family

Il 99% della società della discarica di Carbonia è, però, di proprietà della Asset & management, suddivisa a sua volta tra il 55% del patron, Francesco Colucci, la signora Rosa Iesulauro al 21% e i due rampolli, Gaetano e Giulia Colucci, con il 12% a testa. L'uno per cento della Riverso è, invece, della EcoSerdiana, altro colosso dello smaltimento rifiuti con mega discarica proprio in agro di Serdiana. Non si tratta di una quota vinta al gratta e vinci, visto che l'uno per cento della discarica del Parteolla è, a sua volta, proprio della Riverso. Un connubio, quello dell'uno per cento, che segna in maniera indelebile l'abbraccio tra i signori dei rifiuti nel sud Sardegna. Colucci, da sempre tutt'uno con gli affari dei rifiuti, l'ha presa male. Come se lo avessero ferito nell'orgoglio di "sotterratore" di rifiuti in discariche in terra sarda. Nell'ultima missiva inviata nei palazzi della Regione i toni sono quelli di lesa maestà.

Sorpresa e lesa maestà

Il capolavoro neocoloniale è nelle parole che la Riverso rivolge, indignata, alla Regione e ai sardi tutti: «Sorprende che in Sardegna non si apprezzi e quindi si tuteli un'attività (la gestione dei rifiuti) tra le pochissime che ancora permette alla Sardegna di garantire posti di lavoro nel proprio territorio». Una lezione a cuore aperto e portafoglio in mano su come si produce sviluppo e occupazione nella povera terra del Sulcis: seppellendo in una discarica in mezzo alle montagne rifiuti pericolosi spediti da mezza Italia per far lievitare i conti societari della Colucci family. È per difendere questa visione dell'Isola dei veleni che il "Colucci pensiero" ha dovuto confessare che, da fine 2017 a maggio 2020, sono arrivati nell'Isola la bellezza di 287 mila tonnellate di rifiuti pericolosi provenienti da ogni angolo d'Italia. Raccontano le carte: qui in Sardegna non si producevano più rifiuti e siamo andati a cercarli altrove, nel nord e nel centro Italia, per non finire a gambe all'aria. Tutto raffigurato a tinte vittimistiche da melodramma partenopeo.

La carovana di camion

È da quel primo carico di 169 tonnellate spedito in Sardegna a fine 2017, terre piene di sostanze pericolose spedite dalla Eco Sistem, che è iniziata la carovana dei tir carichi di veleni verso l'Isola. Stando ai dati comparsi nelle relazioni riservate di cui siamo in possesso, in Sardegna, in questi ultimi tre anni, sono arrivati la bellezza di 11.480 camion di rifiuti pericolosi e speciali, tutti provenienti dalle terre inquinate del continente. Una fila immaginaria di 160 chilometri di camion, ognuno 13 metri di lunghezza e 25 tonnellate di capacità, giunti pieni e ripartiti vuoti. Nessuno di questi poteva arrivare nell'Isola: vietato conferire rifiuti extraregionali in Sardegna. Inizialmente di questo traffico infinito si sussurrava, a volte si faceva finta di non vedere. Ora, invece, è tutto vergato, con tanto di timbro societario, in una relazione agli atti della Regione e non solo. La norma sul trasferimento non autorizzato di rifiuti, per giunta pericolosi, è da codice penale. Riguarda chi ha spedito, chi ha trasportato, chi ha smaltito. Ne sanno qualcosa i signori che hanno messo nero su bianco l'indifferibile esigenza di mandare nell'Isola dei Nuraghi i loro rifiuti pericolosi. Ma questo è un altro capitolo di questa spietata storia di rifiuti "stranieri" spediti in terra sarda.

Mauro Pili
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