Dal pregiudizio per gli italiani alla passione per il "Made in Italy" è uno dei fili conduttori del rapporto italiani nel mondo edizione 2019 presentato oggi a Roma (all'auditorium Bachelet) a cura della fondazione Migrantes.

Una riflessione che riguarda le migrazioni da analizzare non solo sul fronte dei Paesi di arrivo ma anche di quelli di partenza. Il nostro riveste entrambi i ruoli in un processo di globalizzazione e libera circolazione di merci, persone e competenze.

Ne esce il ritratto di un'Italia "non serena - dicono i dati -, persa tra indicatori statistici che non lasciano dubbi: oltre 1,8 milioni di famiglie italiane in povertà assoluta per un totale di 5 milioni di individui di cui oltre 2 milioni e 350 mila nel Mezzogiorno". Siamo lo Stato più longevo d'Europa, "con 14.456 centenari residenti all’inizio del 2019 di cui l’84% donne. Con un’età media di 45,4 anni, una diminuzione di 128 mila nascite dal 2008, un numero di decessi pari a 10,5 individui ogni mille abitanti, un indice di vecchiaia (rapporto tra anziani 65+ e giovani".

Foto Fondazione Migrantes
Foto Fondazione Migrantes
Foto Fondazione Migrantes

CHI PARTE - Sono stati oltre 128mila i cittadini italiani espatriati nel 2018. Su un totale di oltre 60 milioni di residenti in Italia a gennaio 2019, alla stessa data l’8,8% è residente all’estero. "Gli iscritti all’AIRE - dice il rapporto -, aggiornati all’1 gennaio 2019, sono 5.288.281. Dal 2006 al 2019 la mobilità italiana è aumentata del +70,2% passando, in valore assoluto, da poco più di 3,1 milioni di iscritti all’AIRE a quasi 5,3 milioni". Quasi la metà proviene dal Meridione d’Italia (48,9%, di cui il 32,0% Sud e il 16,9% Isole); il 35,5% dal Nord Italia (il 18,0% dal Nord-Ovest e il 17,5% dal Nord-Est) e il 15,6% dal Centro.

DOVE SI VA - Sono stati soprattutto il Regno Unito e la Germania ad aver accolto di recente i nostri connazionali con, rispettivamente, il 18 e il 16,2 per cento degli emigrati. Seguono Francia, Svizzera, Spagna e Brasile. Infine Stati Uniti, Belgio, Australia e Irlanda.

In prevalenza si tratta di persone con un titolo di studio medio-alto (circa il 52,6% possiede almeno il diploma), con una differenza di genere a favore degli uomini (il 55% contro il 45% delle donne) che arrivano da Lombardia, Sicilia, Veneto, Lazio e Piemonte.

PERCHÉ - Il lavoro ma anche la voglia di approfondire e migliorare i propri studi sono la molla che spingono gli italiani all'estero: "I giovani, in particolare, stanno vivendo già da tempo una situazione relativamente più complessa: tenuto conto del contesto economico decisamente incerto e delle opportunità offerte dalla globalizzazione, ad ogni tappa del percorso individuale (formativo o lavorativo) corrisponde una potenziale scelta di mobilità. Per i dottori di ricerca la situazione si articola ulteriormente, in quanto si tratta di una figura professionale che, seppure ancora poco compresa dal mercato del lavoro italiano, svolge un ruolo chiave di collegamento tra università e impresa", spiega l'annuario.

Foto Fondazione Migrantes
Foto Fondazione Migrantes
Foto Fondazione Migrantes

LO SPECIALE - Quest'anno il tema speciale su cui si focalizza il rapporto è intitolato: "Quando brutti, sporchi e cattivi erano gli italiani: dai pregiudizi all’amore per il made in Italy". Una settantina gli esperti che hanno partecipato alla stesura della relazione definitiva e tra questi c'è anche la sarda Marisa Fois. 38enne di Busachi, lavora da anni all'Università di Ginevra con un dottorato che riguarda l'Africa del Nord.

Qual è il punto centrale dei contribuiti?

"La migrazione e la mobilità, come da tradizione, e ora anche ora l'analisi sul cambio di percezione degli italiani all'estero. A partire dal recupero del mito della 'Dolce Vita' e del viver bene alla 'Milano da bere' ma anche dell'arte e dell'architettura, senza più i soliti stereotipi".

Lei di cosa si è occupata?

"Di due saggi. Uno sugli italiani in Algeria, il secondo in particolare sulla realtà dei sardi".

Di cosa si tratta?

"Per quanto riguarda il primo, si intitola 'Italiani in Algeria: immigrati o colonizzatori?'. Sono partita dall'esame del flusso sardo-siciliano verso il Nord Africa, soprattutto dovuto a questioni geografiche, e gli italiani, in quanto europei, venivano visti più o meno come i francesi, quindi colonizzatori. Ma i francesi, dal canto loro, ce l'avevano con gli italiani che venivano un po' temuti per la paura che avessero troppo 'potere' e gestissero le comunità locali. E poi c'era la preoccupazione per i fatto che i problemi tra europei venissero esportati anche in Algeria".

Il secondo invece?

"In occasione dei 50 anni dalla fondazione de 'Il Messaggero Sardo' ho analizzato attraverso le sue pagine come è cambiata la percezione dei sardi all'estero. Per esempio c'è una storia che mi ha molto colpito dal titolo 'A Torino per due giovani sardi vietato sporsi'. Tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, nessuno affittava casa a quella coppia perché era 'meridionale', e il cronista spiegava come il capoluogo piemontese, nonostante fosse uno dei fulcri del triangolo industriale, fosse in realtà anche molto 'razzista'. Negli stessi anni poi si registrava una forte disparità di genere: gli uomini, sul fronte degli alloggi, venivano relegati nelle cantine e nei sottoscala - sardi e meridionali in genere -, mentre le donne erano apprezzate soprattutto in Piemonte e Liguria, erano le cosiddette 'domestiche sarde'. C'era tra questa una donna di Orosei che lavorava persino alla Corte della famiglia reale".

Foto Fondazione Migrantes
Foto Fondazione Migrantes
Foto Fondazione Migrantes

C'è stato qualche elemento che l'ha sorpresa?

"Io vivo la realtà svizzera e se in passato c'è stata qualche difficoltà di integrazione per gli italiani, ora la musica è cambiata. Ricordo la lettera di un signore sardo, scritta da sua moglie svizzera, in cui si dice che non esistono solo le discriminazioni, bisogna sapersi comportare correttamente e si verrà accolti".

Un esempio?

"Nei miei approfondimenti ho incrociato le vicende della Monteforno, una grossa fabbrica del Canton Ticino in cui l'ingegner Giovanni Morini, che ne era direttore generale, aveva conosciuto in passato i militari della Brigata Sassari e ne aveva apprezzato le grandi qualità. Quindi quando si è trattato di assumere manodopera si era ricordato dei sardi ed era andato nell'Isola proprio per cercare operai. Tula, Oschiri, Bonorva, Ploaghe, Pattada sono i paesi dai quali tanti uomini sono emigrati per raggiungere l'acciaieria, non lontano da Bellinzona".

Lo spopolamento è ancora un tema attualissimo nell'Isola, e colpisce di più le zone interne, come quella in cui è nata. Ci sono soluzioni?

"Facile dire: se avessi avuto un lavoro dignitoso sarei rimasta, perché la qualità della vita in Sardegna non è paragonabile a nulla. Certo sono consapevole che nel mio paese non sarei potuta rimanere, magari a Cagliari sì".

C'è una sorta di "passaporto" per partire?

"Oggi la cultura, lo studio. La migrazione è sempre una perdita perché il territorio investe nella formazione dei giovani e poi questi se ne vanno. Il problema della disoccupazione in Sardegna è costante da almeno 50 anni, o forse c'è sempre stato. C'è per esempio una lettera scritta da un sardo a Lione nel 1969, in cui già accennava al tema dell'insularità e diceva che senza il superamento di questa barriera il lavoro 'non sarà possibile averlo neanche tra un secolo'. Ma non solo: parlava anche di Europa e sosteneva che i sardi non credessero in quella entità".

Lei è "immigrata" in Svizzera, si ritrova nella descrizione fatta dal documento della fondazione Migrantes?

"L'immagine dell'italiano qui è plurisfaccettata, e l'annuario è un'indagine molto complessa, con cifre ma anche tante storie di vita con Paesi e contesti storici. Io qui sono considerata una risorsa, vivo in una città internazionale, patria dei diritti umani, dove sono state siglate tante dichiarazioni come quella sui diritti umani e anche trattati di pace. Come dico sempre sono 'emigrata di serie A', con una buona situazione insomma".

Come siamo visti oggi?

"Positivamente, anche perché la Svizzera ha una tradizione di accoglienza per gli italiani. Magari prima prevalevano gli aspetti negativi, ora invece l'italianità è da tutelare, non dimentichiamo che l'italiano è una delle lingue ufficiali".

Sabrina Schiesaro

(Unioneonline)

DITE LA VOSTRA
© Riproduzione riservata