Fino a poco tempo fa si parlava di "emigrazione" e "immigrazione", oggi invece si usano soprattutto "migrare" e "mobilità". Questo serve per superare una sorta di rigidità che dà l'idea di una traiettoria specifica che un tempo era ben individuata, mentre oggi si tratta più che altro di scelte personali e professionali e di flessibilità.

Sono le premesse del "Rapporto Italiani nel mondo 2018", a cura della Fondazione Migrantes, presentato oggi a Roma all'Auditorium "V. Bachelet". Un'analisi su dove sono i nostri connazionali che decidono di espatriare e di quali sono le destinazioni più gettonate.

Non solo: la relazione fornisce anche un identikit sul migrante "tipo": quanti anni ha, quali studi ha compiuto e cosa va a fare all'estero.

In questa indagine è stata coinvolta anche Marisa Fois, 37enne originaria di Busachi che da oltre tre anni lavora all'Università di Ginevra con un dottorato che riguarda l'Africa del Nord. Sua la parte del Rapporto dedicata all'emigrazione italiana in Algeria, neomobilità giovanile e giovani adulti.

A lei abbiamo chiesto come e perché è cambiato il concetto di emigrazione e qualche esempio concreto.

"Migranti" è davvero una parola con un nuovo significato?

"Per come è posta nel Rapporto della Fondazione Migrantes direi proprio di sì. Molto spesso le parole migranti e immigrazione vengono lette con accezioni negative, in realtà è importante dare loro un senso diverso e intenderle come libertà di spostamento. Una connotazione più positiva, una scelta che consente di portare avanti un disegno di futuro. Migrante non è solo un 'corpo' che si muove ma è anche una vita, con tutte le sue paure, i nuovi legami e qualche certezza".

Fare i bagagli e andarsene: sono cambiati i motivi della scelta?

"Penso di no, nel senso che questo concetto è sempre esistito, è insito nell'essere umano, ed è un diritto. I motivi erano e sono legati spesso al lavoro, ed è questo che rappresenta l'unione tra l'emigrazione di ieri e di oggi, ma entrambe sono finalizzate ad avere un futuro migliore".

I genitori dei giovani che ruolo hanno?

"È una posizione molto soggettiva. Nel mio caso, per esempio, la mia famiglia mi ha spronato e mi ha insegnato a scegliere. Ho potuto studiare in Sardegna e poi cercare la strada giusta per me. Non mi hanno mai detto 'resta' o 'parti'. Quando sono stata via per l'Erasmus a Parigi e poi per lavoro sempre in Francia forse erano rilassati, sapevano che si trattava di una situazione temporanea. Quando invece ho trovato un lavoro 'vero' hanno riflettuto un po', si sono sentiti toccati da vicino, e sentono la nostalgia. Di sicuro mi avrebbero voluta vicina, ma non mi hanno mai obbligato a tornare".

Emigrati al porto negli anni Sessanta (foto di Gianni Berengo Gardin)
Emigrati al porto negli anni Sessanta (foto di Gianni Berengo Gardin)
Emigrati al porto negli anni Sessanta (foto di Gianni Berengo Gardin)

La Sardegna è ancora terra di emigrazione?

"Lo è, si continua a partire, è una regione spopolata. Prima però il progetto era 'a lungo termine', mentre ora la società è sempre più fluida, spesso si lascia l'Isola e si torna indietro presto, poi magari si riparte per altre destinazioni. Io oggi sono qui, a Ginevra, domani chi lo sa, non escludo di tornare anche in Italia, in Sardegna magari, se trovassi delle soluzioni valide non direi di no a priori".

Sono diversi i presupposti quindi.

"Oggi le distanze si sono accorciate, grazie ai social network siamo tutti aggiornati, chi è lontano riceve video e foto dalla famiglia, dagli amici in Sardegna, e allo stesso tempo contenuti da chi si trova in altre parti del pianeta. Un mondo globale insomma".

Siamo terra di accoglienza?

"Dovremmo esserlo molto di più. E parlo non solo della Sardegna ma di tutta l'Italia. Non abbiamo la giusta percezione, il numero dei migranti che arrivano è di molto inferiore a quelli che approdano nel resto d'Europa, ma continuiamo a focalizzare l'attenzione su 'sbarchi numerosissimi' che nella realtà tali non sono. La Sardegna poi è proprio un luogo di passaggio, e chi arriva potrebbe rappresentare una buona medicina contro lo spopolamento, soprattutto nelle zone interne dove il tasso di natalità è molto basso. È lì che i migranti possono essere importanti".

Migranti italiani su una nave diretta in Sud America (Archivio L'Unione Sarda)
Migranti italiani su una nave diretta in Sud America (Archivio L'Unione Sarda)
Migranti italiani su una nave diretta in Sud America (Archivio L'Unione Sarda)

Chi è oggi il migrante-tipo italiano? Un identikit.

"Ci sono varie categorie, oltre alle classiche - lo studente, il lavoratore - ci sono nuovi soggetti che prima non consideravamo, per esempio spesso i pensionati tornavano in Italia per ritrovare il loro paese di origine, adesso invece quando rimangono soli, magari vedovi, ripartono per vivere vicino ai nipoti, che sono nati dai loro stessi figli venuti al mondo in un Paese straniero".

Oggi si tende comunque a vedere l'immigrazione come un "problema".

"Eppure è fenomeno che è sempre esistito, e la Sardegna dovrebbe saperlo bene. Il Mediterraneo è da sempre area di movimenti e scambi. Nella mia ricerca c'è ad esempio il riferimento a un documento conservato negli archivi del ministero degli Affari esteri in cui si parla di sei sardi - manovali e pescatori - che nel 1959 avevano rubato un peschereccio a Sant'Antioco per raggiungere le coste dell'Algeria. Clandestinamente. Ma sono diversi i casi di persone che dall'Isola sono andate a lavorare nel Nord Africa".

Ha raccontato altre storie di sardi?

"Sì, quelle di Michela e di Silvia, entrambe hanno lavorato alla Scola italiana di Roma, che è un istituto paritario dove ci sono stranieri che vogliono apprendere l'italiano. La prima è di Busachi, ha vissuto in Algeria per tre anni e ha insegnato materie letterarie. Inoltre teneva corsi di lingua italiana. Ora è tornata in Sardegna. Silvia, invece, è di Villasor. Ha vissuto a Londra, Madrid, India, Algeria e dal 2014 è a Mosca, dove insegna in una scuola italiana".

Anche lei è una "migrante", si riconosce nel profilo tracciato dal rapporto?

"Un po' sì e un po' no. Sono una 'migrante di prima classe', come spesso mi definisco, perché lavorando all'Università, grazie ad accordi tra atenei, viene riconosciuto anche economicamente quello che faccio. E poi, cosa da non sottovalutare, sono italiana e quindi ho la libertà di potermi spostare nei vari Paesi. Non è da tutti e non è scontato".

Ha trovato qualche difficoltà?

"Più che altro rallentamenti burocratici dovuti alle norme svizzere, ma così come tanti altri. Guardando le targhette sulle porte degli uffici vicino al mio i nomi di italiani sono tantissimi".

E gli svizzeri la chiamano "l'italiana"?

"Sì, ma senza connotazioni negative. Poi spiego che sono sarda e parte la seconda domanda, magari retorica".

Quale?

"E sei andata via da un paradiso come quello per venire qui?".

Partenza di migranti su un treno negli anni Ottanta (Archivio L'Unione Sarda)
Partenza di migranti su un treno negli anni Ottanta (Archivio L'Unione Sarda)
Partenza di migranti su un treno negli anni Ottanta (Archivio L'Unione Sarda)

I DATI DEL RAPPORTO - Negli ultimi la mobilità degli italiani è cresciuta del 64,7%. Gli iscritti all'Aire, l'Anagrafe degli italiani residenti all'estero, sono più di 5,1 milioni dai 3,1 milioni di 12 anni fa. Le destinazioni prescelte sono soprattutto i Paesi europei (54,1%), mentre negli Usa si registra una presenza del 40,3%, in particolare nel Centro-Sud.

A partire sono soprattutto quelli che abitano nelle zone del Meridione con 1.659.421 persone (873.615 dalle Isole).

I migranti italiani provengono da Lombardia, Veneto, Piemonte e Sicilia. Sono soprattutto uomini (il 51,9%), il 55,3% è celibe o nubile, il 37% sposato, e hanno un titolo di studio medio-alto.

Per le età, invece, i minori secondo i dati delle iscrizioni all'Aire sono oltre 765mila, un milione e 135mila hanno un'età compresa tra i 18 e i 34 anni, un milione e 197mila ha tra i 35 e i 49 anni, seguono quelli che hanno tra i 50 e i 64 anni (978mila), mentre poco più di un milione hanno più di 65 anni.

Nel corso del 2017, dall'Italia sono partiti 128.193 cittadini, che hanno portato la residenza fuori dai confini nazionali, e si tratta soprattutto di uomini che hanno fra i 18 e 34 anni.

Una delle tabelle (foto dal "Rapporto italiani nel mondo")
Una delle tabelle (foto dal "Rapporto italiani nel mondo")
Una delle tabelle (foto dal "Rapporto italiani nel mondo")

AREE GEOGRAFICHE - Le province più colpite sono quelle di Milano, Roma, Genova, Torino e Napoli. A livello regionale, al primo posto troviamo la Lombardia, seguita da Emilia Romagna, Veneto, Sicilia e Puglia.

Le destinazioni preferite sono quelle europee: la Germania (20.007 arrivi) distanzia di molto il Regno Unito (18.517) e anche la Francia (12.870). Crescita significativa invece quella del Portogallo con un +32%.

Per quanto riguarda la Sardegna, a trasferirsi sono state 2.706 persone (1.230 donne e 1.476 uomini).

I dati per regione (foto "Rapporto italiani nel mondo")
I dati per regione (foto "Rapporto italiani nel mondo")
I dati per regione (foto "Rapporto italiani nel mondo")

GENERAZIONI - Uno dei dati da considerare è la crescita importante dell'emigrazione che riguarda le classi d'età dai cinquant'anni in su, quelli che vengono definiti "migranti maturi disoccupati". E sono quelli che affrontano la precarietà del lavoro, sono lontani dalla pensione e devono in qualche modo trovare soluzioni per mantenere se stessi e le famiglie. Espatriare per loro può rappresentare una via di fuga dalla precarietà lavorativa.

E ci sono invece quelli che, dopo una vita all'estero, decidono di godersi la vecchiaia in Italia ma, una volta rimasti vedovi e con i figli lasciati nei Paesi in cui hanno vissuto per anni, finiscono per fare un altro viaggio in direzione opposta. Sono i cosiddetti "migranti di rimbalzo".

Infine c'è il fenomeno del "migrante previdenziale", pensionati - non solo di lusso - che partono verso destinazioni in cui viene realizzata una politica di defiscalizzazione o dove la vita ha un costo minore rispetto all'Italia e dove maggiore è il potere di acquisto. E allora troviamo Marocco, Thailandia, Spagna, Portogallo, Tunisia, Santo Domingo, Cuba e Romania.

CASI DI INTERVENTO - Da gennaio a luglio di quest'anno, gli interventi dell'ufficio servizio sociali del Consolato generale di Londra verso italiani che risultano in difficoltà sono stati 3.800. Si tratta di residenti e turisti vittime di furti o con problemi di salute o per i quali è stata segnalata la scomparsa. Nella capitale inglese sono almeno 126 gli italiani che vivono in povertà estrema, nel 15% dei casi si tratta di donne.

Sabrina Schiesaro

(Unioneonline)
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