«Il Collegio ritiene che sussistano gravi indizi in ordine all'esistenza di un'associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati contro la pubblica amministrazione e l'amministrazione della giustizia». Nessuna associazione di stampo mafioso, dunque, né di tipo segreto, in violazione alla cosiddetta “Legge Anselmi”.

Per i giudici del Tribunale del Riesame di Cagliari, dunque, nelle carte dell’inchiesta “Monte Nuovo” non ci sarebbe traccia del metodo mafioso che caratterizza l’articolo 416bis, l’associazione a delinquere di stampo mafioso.

Lo scrivono a chiare lettere nelle motivazioni delle due ordinanze che avevano confermato la misura cautelare in carcere per il responsabile della Terapia del Dolore dell’ospedale marino di Cagliari, Tomaso Cocco, e che avevano mandato agli arresti domiciliari l’ex assessora regionale Gabriella Murgia, finiti al centro di una grossa indagine della Direzione distrettuale antimafia e del Ros dei Carabinieri.

Oltre 107 pagine di motivazione per Cocco, 97 per la Murgia, con entrambi i provvedimenti firmati dal giudice Federico Loche, componente del collegio guidato dalla presidente Lucia Perra. Il 20 ottobre sia l’anestesista che l’ex assessora all’Agricoltura erano comparsi davanti al Tribunale della Libertà, accompagnati dai difensori Rosaria Manconi e Herika Dessì (Cocco) e Carlo Figus con Enrico Maria Meloni (Murgia). Terminata l’udienza i giudici avevano confermato la misura cautelare del carcere per il primo e mandato ai domiciliari la seconda, prendendosi 45 giorni di tempo per depositare le motivazioni. Motivazioni che sono state depositate oggi e che escludono la sussistenza dei due reati più gravi ipotizzati dalla Dda e dal Gip del Tribunale, Michele Contini, ritenendo invece che possa essere configurata una normale associazione a delinquere, senza l’aggravante mafiosa.

«Deve preliminarmente essere evidenziato che il sodalizio in questione non è di "tipo mafioso" e non presenta alcun connotato che consenta di qualificarlo anche come "associazione segreta" – scrivono i giudici del Riesame - risultando i relativi motivi di riesame proposti dalla difesa fondati».

Mancherebbe il clima diffuso di intimidazione che genera uno stato di assoggettamento (con correlativa compressione della autodeterminazione dei singoli) e di omertà, così come non sarebbero ravvisabili gli “strumenti intimidatori”. Il solo “prestigio criminale” di uno dei presunti componenti dell’associazione, Nicolò Cossu (detto Cioccolato), «non è certamente sufficiente ad imprimere a tutto il sodalizio connotati peculiari, tantomeno “mafiosi”».

Nel frattempo l’indagine dei sostituti procurati Rossana Allieri ed Emanuele Secci, della Direzione distrettuale antimafia di Cagliari, prosegue per ricostruire l’intera ragnatela dei rapporti. Per ora l’inchiesta ha coinvolto 31 persone accusate di aver costituito un gruppo che univa colletti bianchi e storici esponenti del banditismo del Nuorese per influenzare nomine e, per alcuni, proteggere anche la latitanza dell’ex primula rossa del banditismo sardo, Graziano Mesina

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