"Era stata ancora una bella giornata di sole quella nella quale la popolazione del paese chiamato Entropia fece Festa Manna, quella che celebra la ricorrenza più importante per una comunità: la festa delle feste. Era arrivato quel giorno, finalmente, e, come tutte quelle importanti che si rispettino, aveva visto la gente festante concentrarsi sulla riva del Mare Mannu, nel punto nel quale approdava il tubo in entrata collegato con la sponda opposta dei paesi né vicini né lontani, attraverso il quale erano passati nei decenni precedenti ingenti flussi monetari che avevano alimentato le condotte distribuite nel territorio, a loro volta connesse con ogni singola famiglia dotata del regolamentare rubinetto, dal quale uscivano i soldi necessari a garantire un’esistenza appena appena dignitosa.

Erano tutti lì per assistere allo smantellamento del tubo in entrata che aveva fino ad allora connesso la generosità, e spesso la convenienza, dei contribuenti più ricchi di quei paesi con il nostro mitico, tenero

e povero paesino.

I suoi abitanti erano riusciti a portare a compimento la missione che nonno Giuseppi detto Babay aveva loro affidato prima di congedarsi, così da onorarne la memoria in uno con quella di tutti i loro antenati, quelli che resistettero ai soprusi, meritando il rispetto dei popoli amici e inducendo alla cautela quelli nemici, ma anche di coloro che furono acquiescenti e che si assoggettarono, e di quelli che morirono,

ovviamente, pur di non rinunciare alla propria dignità nel tentativo di rimanere padroni in casa propria.

Dopo il racconto sulla loro origine e la riflessione su dove si trovassero, gli abitanti del nostro mitico paesino aprirono finalmente gli occhi e con passione, costanza e onestà di sentimenti e d’intenti si attivarono per riconquistare ciò che era loro, che era sempre stato loro e che solo momentaneamente era stato occupato da altri.

Riconquistarono l’indipendenza economica tanto agognata e con essa la capacità di creare e diffondere benessere governando il processo di accumulazione interna, attraendo investimenti esterni non più subiti ma voluti e richiesti, perché funzionali all’obiettivo dello sviluppo della loro economia e non già di quella de is istrangiusu, venuti qui a “far legna”, per dire, come sempre storicamente era avvenuto.

Fu un evento straordinario, con fanfare, coccarde, aquiloni in quantità e con la celebrazione di una messa solenne, come si conviene a una vera “Festa Manna”; una cerimonia con la partecipazione di tutte le famiglie, uomini donne e bambini, belli e meno belli, grassi e magri, alti e bassi, saggi e meno saggi, felici però tutti di vedere realizzato il sogno di tante generazioni e per avere dato, ciascuno, un contributo allo scopo in cui avevano creduto.

La forza del sistema del Treno dello Sviluppo aveva fatto il miracolo di affrancare dal bisogno di elemosine esterne la popolazione, creando nel suo progredire le condizioni per la crescita autopropulsiva dell’economia basata sulle risorse naturali che il buon Dio aveva reso disponibili ai residenti, sulle loro accresciute abilità e competenze e sull’apertura non timorosa al mondo, con parte del quale riuscirono a stabilire relazioni commerciali e culturali che consentirono a quella gente di stare al passo con i tempi, senza interessate mediazioni e interposizioni di terzi.

Fu così che il tubo in uscita destinato alle esportazioni prese stavolta a funzionare a pieno ritmo, importando e ospitando, come si conviene, flussi crescenti di persone anziché cose ed esportando i propri prodotti nei paesi né vicini né lontani e in quelli lontani lontani, annullando le distanze fisiche e le difficoltà di comunicazione dovute all’insularità grazie alle nuove tecnologie, con le quali riuscivano in tempo reale a scambiare notizie, immagini, prodotti e fare transazioni commerciali con i propri clienti, vecchi e nuovi, senza barriere di alcun tipo.

Le entrate derivanti dalla relazione commerciale con parte del resto del mondo non passavano più dal tubo in entrata perché ormai obsoleto e inutile e per questo smantellato durante la cerimonia della Festa Manna, ma arrivavano attraverso un semplice bit direttamente sui conti correnti delle imprese locali connesse senza deviazioni con la fonte dei loro ricavi: i clienti.

Non già la pubblica amministrazione, mediatrice e distributrice di risorse pubbliche concesse da interessati donatori, spedite attraverso il tubo in entrata adagiato nei fondali del Mare Mannu.

No, erano finalmente risorse meritate e guadagnate dal sistema economico del luogo, incamerate da imprese che si erano distinte nella conquista di crescenti quote di mercato, sintonizzandosi coi bisogni della clientela certa e di quella potenziale.

Erano risorse che andavano ad alimentare gli investimenti a livello locale, così che si potenziava continuamente l’apparato produttivo, sempre più efficiente e performante e capace di competere con la concorrenza interna dei prodotti importati, scatenando un processo di emulazione delle migliori aziende e la continua spinta a migliorare il sistema economico nel suo complesso.

E fronteggiare e battere così i competitori esterni, sempre più agguerriti nel difendere la quota di mercato detenuta localmente o nel tentare di riconquistare quella perduta.

Sul piano dell’ordine e decoro interni molto fu fatto e ancora restava da fare, all’epoca, anche se la corretta direzione lasciava ben sperare sul rapido completamento del lavoro avviato.

Le azioni necessarie per importare persone furono tutte puntualmente avviate e completate, potenziando il sistema dei trasporti per favorire l’afflusso di turisti da tutto il continente europeo, russo e mediorientale, riconquistando una centralità basata sulla propria posizione geografica fondata sull’attrattività del sistema di prodotto e sulla qualità dei servizi erogati, rendendo competitivo il sistema produttivo così da consentire all’economia locale di fiorire e prosperare.

Il rafforzamento delle imprese locali in tutti i settori consentì gradualmente di affacciarsi efficacemente sui mercati esterni, esportando la parte delle produzioni non assorbite dal mercato interno e proiettandovi competenze e capacità produttive, così che imprenditori intraprendenti e coraggiosi insediarono in paesi con significative prospettive di crescita, possessori di ingenti riserve di materie prime, attività le più diverse, per la gran parte profittevoli, a beneficio proprio e dell’economia del nostro mitico paesino.

Furono avviate le bonifiche dei siti inquinati e progressivamente restituiti alla fruizione pubblica le porzioni di territorio compromesse, su cui erano comunque visibili le cicatrici degli sfregi subiti ma anche accettati ormai dalla gente, suo malgrado.

E furono persino amati, infine, quei luoghi, perché testimonianza di un pezzo della propria storia, quella triste e cupa, deprimente e infelice, parte tuttavia di se medesima, mostrata senza inibizioni ma anzi con l’orgoglio di chi era riuscito a modificare e invertire con le proprie forze un destino d’irreparabile

degrado".
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