«Giù le mani dai porti sardi». I comitati tornano in campo e denunciano «l'occupazione manu militari degli scali marittimi di Cagliari e Oristano». Anziché lavorare per un rilancio generale del porto canale e della banchina oristanese, la possibilità di vederli trasformati in basi logistiche per la realizzazione e (nel caso di Cagliari) la movimentazione di pale e turbine eoliche, pare tutt'altro che infondata. Tanto che ora i movimenti minacciano denunce.

DUE IPOTESI – I primi timori erano stati sollevati dai sindacati non più tardi di qualche giorno fa, preoccupati per le conseguenze che questo cambio rotta potrebbe avere sul futuro dei lavoratori. A Cagliari si registra la presa di posizione di Bentu de Libertadi. Con l'avvocato Michele Zuddas, questa settimana, l'associazione chiederà l'accesso agli atti per avere, in particolare, «tutti i documenti relativi alla concessione richiesta dalla società Incom», che al porto canale vorrebbe insediarsi. A Oristano, invece, il Presidio del Popolo sardo protesta per l'utilizzo di un'area a ridosso del porto industriale come cantiere per la costruzione di pale e turbine eoliche. L'investimento iniziale, da parte di Seawind Italia, srl che fa parte di una società di diritto olandese, sarebbe di 380 milioni.

Per quanto riguarda il porto canale, non sono da escludere diffide o azioni legali «se dovessero emergere profili di violazione ambientale, abuso di concessione o assenza di consultazione pubblica». «La difesa del lavoro non può essere utilizzata come cavallo di Troia per giustificare operazioni speculative», la precisazione.

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