La prima cosa che farà una volta messo piede in Sardegna sarà portare un fiore sulla tomba di Emanuela Loi, nel cimitero di Sestu.

"Conosco bene la sorella, ci siamo viste più volte e in questi anni siamo rimaste sempre vicine. Emanuela fa parte della nostra famiglia, come tutti i ragazzi della scorta morti con mio padre".

Fiammetta Borsellino non aveva ancora 20 anni quando, il 19 luglio 1992, due mesi dopo l'assassinio di Giovanni Falcone, il papà Paolo fu ammazzato da un'autobomba piazzata in via d'Amelio insieme alla poliziotta sarda.

Oggi la figlia di uno dei magistrati simbolo della lotta alla mafia sarà a Cagliari, per partecipare al convegno "La verità è un diritto" (Teatro Massimo, ore 15.30) promosso dall'Osservatorio per la giustizia presieduto dall'avvocato Patrizio Rovelli.

La verità è un diritto e voi la chiedete da 27 anni. Riuscirete ad ottenerla?

"Non lo so ma di certo non ci fermeremo. Per anni siamo rimasti in un silenzio di rispettosa attesa, ma oggi non possiamo stare più zitti e vogliamo che si faccia chiarezza su una storia piena di orrori e menzogne".

Lei ha detto che suo padre è stato ucciso due volte, lasciato solo prima da vivo e poi da morto.

"In realtà siamo stati uccisi tutti perché questa vicenda giudiziaria è stata un'offesa all'intelligenza di tutto il popolo italiano. L'unica cosa che si poteva fare per onorare la memoria di un servitore dello Stato era portare avanti un giusto percorso di verità, mentre dopo 27 anni siamo ancora qui a parlare di anomalie e depistaggi e questo è abbastanza penoso e deprimente".

Lei ha puntato il dito contro i magistrati che per primi si occuparono delle indagini, tirando in ballo anche l'attuale pm della Direzione nazionale antimafia Antonino Di Matteo.

"Quando un iter processuale si conclude con uno dei più grandi errori della storia giudiziaria del nostro paese sono i fatti che parlano, non Fiammetta Borsellino. Io li ricordo per contrastare l'atteggiamento di rimozione collettiva in atto, per chiedere che si faccia luce su una storia italiana costellata di depistaggi".

Cosa le ha fatto più male in questi anni?

"Fa male sentirsi traditi. Ed è un tradimento che si perpetua. Ci sono stati anni di processi in cui sono stati costruiti castelli che sono crollati solo grazie alle parole di Gaspare Spatuzza (il mafioso che ha confessato di aver preso parte all'attentato ndr ). E fa male che la nostra famiglia per anni è stata molto frequentata mentre nel momento in cui abbiamo iniziato a chiedere conto di comportamenti ingiustificabili dal punto di vista morale tutti si sono dileguati e attorno a noi si è creato il deserto".

A luglio il ministro della Giustizia le ha promesso che sarebbero stati aperti gli archivi del Sisde, è stato fatto?

"Ancora no ma è solo un tassello, le cose da fare sono tante. Non ultimo accertare la responsabilità dal punto di vista quantomeno disciplinare di alcuni magistrati della geniale procura di Caltanissetta che si occuparono dell'inchiesta. Su questo fronte c'è stata una totale inerzia da parte del Csm che si è mosso dopo 27 anni soltanto quando la famiglia ha cominciato a urlare. E anche questo lo trovo abominevole".

Cosa ne penserebbe suo padre?

"Credo che l'idea se la fosse già fatta, aveva capito molto del marcio che c'è all'interno delle istituzioni e, ahimè, anche all'interno della sua stessa categoria. Nonostante ciò ha lottato sino alla fine per dare un'immagine diversa della magistratura e conoscendo la sua ironia probabilmente ora si sta facendo una bella risata. Gli hanno intitolato vie, piazze e aule di tribunali, ma l'unico modo concreto per rendergli onore era fare giustizia e invece si è lavorato in direzione opposta".

L'ultimo ricordo che ha di suo padre?

"È tutto un ricordo. Quando fu ucciso ero all'estero: lui ci volle allontanare perché temeva per la nostra incolumità. Ma il vero ricordo sono quei 19 anni di pienezza assoluta vissuti al suo fianco. Che equivalgono a un'intera vita".

Massimo Ledda

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