Tra poco più di un mese in tutti gli Stati membri dell'Unione si terranno le elezioni europee e, in Italia, sembrerebbe più che altrove, la rilevanza degli interessi in gioco, unitamente all'esigenza di ristabilire e/o affermare nuovi equilibri interni di potere, agita i vari partiti nazionali anche in funzione sia dei rapporti coi propri gruppi europei di rispettivo riferimento, sia della potenziale mancanza di tenuta dell'attuale governo rispetto agli eventuali esiti.

A contendersi il Parlamento Europeo, infatti, saranno principalmente otto gruppi: il PPE (Partito Popolare Europeo, espressione del liberalismo conservatore e del cristianesimo democratico), il S&D (Partito Socialista Europeo, espressione del socialismo democratico), l’ALDE (comprendente sostanzialmente due partiti, ossia Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa e Partito Democratico Europeo, espressione di principi liberali e radicali), V-ALE (comprendente anch’esso due distinti partiti, ossia il Partito Verde Europeo e la Alleanza Libera Europea, sostenitori del regionalismo e dell’ambientalismo), l'ECR (sostenuto dalla Alleanza dei Conservatori e Riformisti Europei e dal Movimento Politico Cristiano d’Europa, espressione del conservatorismo nazionale euroscettico ed anti-federale), il GUE/NGL (ove trovano dimora il Partito della Sinistra Europea e la Alleanza della Sinistra Verde Nordica espressione, entrambi, di ideologie comuniste, socialiste-democratiche e sinistro-ecologiste), l'EFDD (espressione del partito di Alleanza per la Democrazia Diretta in Europa ispirato ad ideali euroscettici e populisti di destra), l'ENF (espressione del Movimento per un’Europa delle Nazioni e della Libertà, anch'esso ispirato ad ideali euroscettici, populisti di destra ed al conservatorismo nazionale). Ed in questo scenario così poliedrico è facile intuire ove troveranno dimora i nostri maggiori partiti nazionali: il Movimento 5 Stelle nel EFDD, il Partito Democratico chiaramente nel S&D, Forza Italia nel PPE, la Lega nel ENF come pure Fratelli d'Italia.

Fin qui, credo, nulla quaestio, se solo non fosse, perlomeno questa è la mia impressione, che ci stiamo accingendo ad esprimere preferenze importantissime senza ancora avere una idea chiara e definita sia di che cosa rappresenti veramente l'Unione Europea per noi e per i suoi altri Stati Membri, sia in quale direzione e/o con quali principi intendiamo davvero conseguire l'obiettivo di questa "Unione" e di conseguenza viverla concretamente.

Ebbene. È innegabile che l'Unione Europea, quale organizzazione internazionale politica ed economica a carattere sovranazionale, se per un verso, ha consentito l'uscita di quei Paesi membri cosiddetti emergenti da una condizione di povertà estrema, per l'altro verso ha, nel contempo, e corrispettivamente, creato forti disuguaglianze e grave malcontento nei Paesi aderenti più ricchi, e/o che almeno prima dell'ingresso nell'Unione, erano certamente più ricchi, come ad esempio la nostra Italia.

Ed è altrettanto innegabile che proprio siffatto malcontento (a dire il vero ingiustamente ed artatamente attribuito alle politiche Europee essendo piuttosto da ricondurre ad una cattiva gestione del raccordo monetario unico da parte del Governo Prodi prima e alle politiche di austerity dei governi Monti e Renzi poi), si sia tradotto in una sorda riaffermazione di vecchie, superate, e male interpretate, alla luce dei tempi, ideologie nazionalistiche e protezionistiche, purtroppo in concreto incompatibili (siccome espressione in realtà della debolezza e della inadeguatezza dello Stato interessato rispetto alla gestione del cambiamento) con l'imperante ed inarrestabile contesto sovranazionale improntato alla globalizzazione.

Ed ancora a maggior ragione innegabile è che, sebbene l'Unione Europea, nell'intento dei suoi promotori ed idealizzatori, avesse l'ambizione di porsi come modello superiore di condivisione della sovranità proprio mediante la creazione di una istituzione sovranazionale, tuttavia, allo stato attuale, risulta essere gravemente in crisi siccome impossibilitata proprio nel portare a compimento il suo progetto unificatorio.

Quindi il nodo centrale da sciogliere è quello di capire se si possa ancora perseguire il sogno federalista o se invece ci si debba rassegnare, e/o sia più opportuno, un brusco ritorno alle origini. Si, proprio così. Perché se si vuole una Europa Unita occorre ragionare in termini di "Federazione Europea", ossia di Unione di Stati sovrani (nel senso pieno ed utile del termine) che decidono volontariamente di autoridurre la propria sovranità per dare vita ad una nuova ed omnicomprensiva forma di Stato la quale troverà, a sua volta, un necessario limite, nell'esercizio della propria residua sovranità da parte degli Stati aderenti sulla scia del costante bilanciamento tra il principio fondante di unità della federazione e la necessaria indipendenza dei vari membri che la compongono.

Ci troviamo, dunque, di fronte ad un bivio. Un bivio che, per quanto ci riguarda personalmente, ci impone di fare i conti, da un lato, con la nostra costante (perché presente da anni oramai) instabilità e debolezza interna che ci impedisce di intervenire ed incidere con forza, determinazione e consapevolezza nell'ambito dell'organizzazione sovranazionale Europa, e dall'altro, con il dovere di non tirarci indietro di fronte a questa sfida per non soccombere.

La vera salvezza, insomma, non è restare ancorati e racchiusi negli angusti confini di stato ma andare con decisione incontro ad un'Europa identitaria comune e Federale senza perdere la nostra identità nazionale.

In quest'ottica, come costantemente sostenuto soprattutto dal Presidente Berlusconi, ma anche da Macron e dalla cancelliera tedesca Merkel, sarebbe, come di fatto è, utile prendere le mosse dalla creazione di un ministero unico dell'economia con poteri analoghi a quelli di un ministro di uno stato federale, come pure dalla creazione di un unico esercito dell’Unione gestito da un ministro europeo della difesa (al fine di divenire una realtà veramente competitiva con le altre potenze mondiali quali la Cina, gli Stati Uniti e la Russia) per arrivare finalmente alla definizione di una politica estera comune.

Certo occorre dare tempo al tempo, e occorre, per quanto ci riguarda, recuperare la stabilità politica interna, ma non bisogna tergiversare oltre. L'Europa Unita può essere solo quella Federale: tutto il resto sarebbe solo contratto tra Stati meramente fine a se stesso ed inutile a garantire una reale crescita economica interna.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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