Vestita da “barbona”, circondata da piccioni. Sotto queste mentite spoglie è andata in giro per il centro di Cagliari Claudia Murru, medico, direttrice sanitaria di una struttura di assistenza agli anziani. Un esperimento sociale, il suo, «ispirato alla "Signora dei piccioni" del film “Mamma ho perso l'aereo”, per osservare le reazioni delle persone». Il risultato: «La mia esperienza ha rivelato un quadro preoccupante della società odierna, caratterizzata da distacco, giudizio e paura, con rare eccezioni». 

La reazione più comune, spiega Murru, «è stata l'indifferenza, la mancanza di ilarità». Con il suo abbigliamento ha riscontrato «sguardi disapprovanti, non riuscivano ad ammorbidirsi nemmeno se sollecitati da un mio sorriso o da un gesto di saluto. Questo suggerisce una difficoltà generalizzata nel lasciarsi andare alla leggerezza e all'umorismo estemporaneo, come se ci fosse una sorta di barriera emotiva che impedisce la connessione con gli altri, attraverso anche una semplice risata».

Molte persone, secondo l’analisi, «hanno reagito con pregiudizio, denunciando la tendenza, assai diffusa, a classificare gli altri in base all'apparenza e a giudicare negativamente i comportamenti non convenzionali, seppur innocui».

C’era chi aveva paura dei piccioni (finti), ma soprattutto «è emerso che molti erano atterriti e diffidenti verso ciò che è percepito come "diverso" o "strano", per deformazione professionale, non ho potuto sorvolare sull’analogia con lo stigma e l’emarginazione che vivono le persone con demenza».

I barlumi di speranza sono arrivati da due categorie di passanti: «Anziani e senzatetto. Sono stati gli unici ad avvicinarsi incuriositi, a scambiare una parola simpatica, mostrando apertura, qualche risata e manifesto desiderio di socializzare. Fa riflettere che proprio queste categorie sociali, spesso marginalizzate, siano state paradossalmente più capaci di connessione umana autentica. Gli anziani», proegue Murru, «che forse conservano il dono dello stupore, hanno memoria di interazioni sociali più dirette e meno mediate dalla tecnologia. I senzatetto, che vivono ai margini della società, potrebbero aver sviluppato una maggiore empatia e una necessità di contatto umano? Ho incontrato tanti bimbi, solo uno si è avvicinato incuriosito dai piccioni».

Scendendo nel dettaglio tecnico, nel bilancio dell’esperienza affidato ai social, il medico scrive: «Ho toccato con mano l'incapacità di gestire le dinamiche relazionali dirette, il paradosso tra la connessione apparente ed effimera offerta dai social network e la reale difficoltà di relazionarsi di persona. I social media possono creare un'illusione di vicinanza, ma mancano della profondità e dell'autenticità delle interazioni faccia a faccia.

Da tempo porto avanti una campagna di sensibilizzazione per il recupero del senso di comunità a favore delle persone anziane. Il mio esperimento sociale ha evidenziato una preoccupante perdita del senso di comunità e di condivisione. In un contesto urbano sempre più individualista e frenetico, le persone sembravano anestetizzate e incapaci di interagire con gli altri, anche in situazioni leggere e divertenti».

(Unioneonline/E.Fr.)

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