Claudia e Sandro, e i gemelli Lilli e Giovanni. Patrizia e Alberto e Chiara. Famiglie separate per via del lavoro e ora del Coronavirus. Due storie di resistenza quotidiana ma soprattutto di sguardi sempre su un bicchiere mezzo pieno.

Claudia e Alessandro.

Lei a Cagliari con i bambini, lui a Venezia. Quella di Claudia Rabellino Becce e Alessandro Becce è una delle tante famiglie divise dall'emergenza Coronavirus. Savonesi d'origine e cagliaritani d'adozione, lei è avvocata e scrittrice, lui amministratore delegato di Vecon spa, società di gestione di un terminal container del porto di Venezia. "Ho sempre pensato che la distanza non fosse un problema in amore, anzi. Sono per natura uno spirito libero e credo nei legami invisibili, quelli che scegli perché li vuoi e che ti connettono indissolubilmente a prescindere da dove sia l'altro - spiega Claudia - sino a quando un decreto prima e un'ordinanza poi hanno stabilito che non sono più io a decidere come e quando porre fine alla distanza che mi separa da mio marito".

Ha ancora nella mente quell'8 marzo, il saluto all'aeroporto. "Ho provato una sensazione nuova. Stava partendo con un biglietto di sola andata in un momento in cui l'unico elemento certo era l'incertezza. Come in tempo di guerra, una guerra contro un nemico sconosciuto e invisibile", prosegue. E' appena rientrata a casa dal market, bardata di mascherina: "Viviamo questa situazione nell'unico modo possibile: giorno per giorno, qui e ora. Ci vediamo su Skype, iniziamo la giornata facendo colazione insieme". Il loro è un rincorrere la normalità.

"Alessandro ogni mattina manda ai ragazzi, Lilli e Giovanni, un "buongiorsì"- l'opposto di "buongiorno", Io lo saluto con un "stai attento", ma sono consapevole che non è semplicemente questione di attenzione - prosegue Claudia - non ammalarsi ha a che fare con l'imponderabile, quello che l'animo umano con la sua sete di certezze ha difficoltà ad accettare". Non nasconde le sue fragilità, né il suo spirito combattivo e fiducioso. "Viviamo costantemente fuori dalla comfort zone, trasformando l'eccezionale in normale - sottolinea - cercando di trovare la parte positiva che ogni esperienza ha in sé. Con i nostri figli cerchiamo di bilanciare la sincerità con l'attenzione a non trasmettere le paure che inevitabilmente abbiamo. La più grande, per me, è di non riuscire a essergli accanto se dovesse ammalarsi. Lui, con la solita razionalità da ingegnere mi dice che non ha senso preoccuparsi in anticipo, bilancia la mia emotività riportandomi in equilibrio, come da sempre nel nostro rapporto".

La camera dei bambini si è trasformata in aula multimediale. "Mi sembra che tutto il genere umano stia andando incontro a una cosa più grande e pericolosa di lui. Spero che alla fine vada tutto bene, come dicono", ha scritto sua figlia Lilli, in un tema. "Andrà tutto bene - è l'unico pensiero possibile, adesso - conclude Claudia- dopo, avremo imparato tutti la lezione di Kurt Vonnegut: "quando siete felici, fateci caso".

Alberto Cocco (foto Vito Fiori)
Alberto Cocco (foto Vito Fiori)
Alberto Cocco (foto Vito Fiori)

Patrizia e Alberto. Un pranzo familiare (a distanza) tra Sardegna e Scozia Patrizia e Alberto: "Riscopriamo l'autenticità delle relazioni familiari" Una frase che hanno fatto loro da tempo Patrizia Careddu e Alberto Cocco, cagliaritani. Le chiacchiere con parenti e amici, naturalmente a distanza, l'uncinetto, il piacere della lettura e, ancora, musica da ascoltare o da eseguire. La riscoperta del silenzio. La vita quotidiana al tempo del Covid-19 assume altri ritmi e permette di riscoprire riti dimenticati.

"La casa ridiventa il focolare domestico in cui rispolverare antiche abitudini o inventarne di nuove", dice Patrizia Careddu, 60 anni. Accanto a lei suo marito, Alberto Cocco, 62, entrambi cagliaritani. Vigile del fuoco in pensione e poeta lui, volontaria in attività del sociale lei. "Siamo sereni, non conosciamo la parola noia - confessa Patrizia - mi son fatta una bella scorta di farina e lievito per dar vita assieme a Alberto a ravioli, culurgiones, gnocchi ma anche pan brioche". Libri e cd non mancano in casa e poi c' è la cyclette. "Ci facciamo a turno delle belle pedalate immaginando di essere in un parco", aggiunge Patrizia. Poi ci sono i cassetti da riordinare, cartoline, lettere, foto ingiallite dal tempo. Una vita da riprendere in mano.

Alberto suona la chitarra e la tromba. "Erano chiuse nella custodia da troppo tempo", ammette. E all'ora di pranzo tutti a tavola a "condividere" in videochiamata malloreddus, carciofi, porridge e salmone con Chiara, la loro figlia che lavora a Edimburgo, in Scozia, a un dottorato di ricerca su riti, folklore e tematiche di genere. "Il dispiacere maggiore è che non so quando potrò riabbracciarla - confessa Patrizia - ma anche così riscopriamo l'autenticità delle relazioni familiari. Penso che una situazione come questa, seppure difficile, abbia una sua ragion d'essere. Lasciare per un po' il vivere frenetico quotidiano, tornare a se stessi porta ad avere uno sguardo attento a quello che siamo e come ci siamo evoluti - osserva - rileggere testi che richiedono maggiore tempo e attenzione. Godere del silenzio e sentire maggiormente il bisogno di praticare la meditazione per allontanare la paura e allenarsi ad allentare l'ansia che porta solo malessere". Alberto è un soggetto a rischio, è Patrizia a occuparsi delle piccole spese. "Lo stare forzatamente a casa - dice Alberto - è comunque un'occasione: si ha il tempo per rimettere in ordine nelle proprie cose, sia fisiche che spirituali, approfittarne per fare repulisti, alleggerirsi.

Patrizia Careddu (foto Vito Fiori)
Patrizia Careddu (foto Vito Fiori)
Patrizia Careddu (foto Vito Fiori)

Non tutto il male vien per nuocere. Ma niente sarà più come prima - conclude - chi si fiderà più di scambiare baci e abbracci pur con persone conosciute? Credo che dovrà passare parecchio tempo. Ma intanto ora è il momento di resistere, uniti, con responsabilità".
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