Dieci donne, la voglia di raccontare le proprie storie personali, storie fatte di prove durissime, di lotte, di energie investite per superare un lutto, una malattia, un'offesa, una violenza, un'ingiustizia…fino a riuscire a risollevare la testa e uscirne più forti di prima, con orgoglio e determinazione. Sono queste storie a fare da filo conduttore al bel volume Nate due volte (IPL, 2020, pp. 136) scritto dalla giornalista Luisa Bove. Nel libro, infatti, ritroviamo i ritratti di donne comuni, che sono però state però capaci di ricostruirsi, di rimettere insieme i loro "pezzi" e ritrovare l'autostima perduta. Sono così divenute donne che camminano giorno per giorno guardando al futuro con rinnovata speranza, ottimismo e passione, mettendosi in gioco e aiutando gli altri, perché questo è il segreto della felicità. A Luisa Bove chiediamo come prima cosa come è nato il libro: "Inizialmente avevo pensato di raccontare storie di donne che avevano sofferto nella vita per motivi diversi, poi l’editore mi ha chiesto di scrivere storie di resilienza; temevo di faticare a trovarle, visto che il campo era più ristretto, ma non è stato così".

Luisa Bove (foto concessa)
Luisa Bove (foto concessa)
Luisa Bove (foto concessa)

Quali aspetti accomunano le sue protagoniste?

"La forza di resistere di fronte a situazioni molto pesanti, il coraggio, la determinazione, la capacità di reagire, l’umiltà di chiedere aiuto, la voglia di riprendersi in mano, di risollevare la testa, di costruire qualcosa di positivo, di rinascere e ricominciare a vivere. In una parola: la resilienza, elemento che fa da filo conduttore al libro".

Perché è importante la resilienza? La possiamo considerare una qualità al femminile?

"La resilienza - a differenza della resistenza, che ci fa resistere ma rimanere dove siamo -, ci fa andare oltre, ci fa superare una difficoltà e ci consente di ripartire meglio e più forti di prima. Ci fa “rinascere”, da qui l’idea del titolo “Nate due volte”. La resilienza, anche in questo tempo di pandemia, potrebbe aiutarci molto a non ripiegarci, ma a saper guardare avanti, ripensarci e rimetterci in gioco in modo rinnovato. Non credo che la resilienza appartenga più al genere femminile. Prima di questo libro ne ho scritto uno su Bruno Varacalli, un giovane poliziotto che in un incidente stradale – non causato da lui – ha perso una gamba. È una storia di grande resilienza, ha lottato molto, si è rimesso in piedi con una gamba bionica e l’anno scorso – primo caso in Italia – è tornato in servizio nonostante la sua disabilità. Intanto si è laureato ed è diventato papà".

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Cosa ci insegnano le storie che ha voluto raccontare?

"Tutti noi viviamo situazioni pesanti, delusioni, sconfitte, lutti, abbandoni, drammi che ci provocano dolore, sofferenza e frustrazione. Forse non vicende così pesanti come quelle che ho descritto nel mio libro, però da queste donne possiamo imparare non solo a resistere, ma a rialzarci. Nonostante tutto. Ci fanno capire che occorre prima superare vergogna, paura, arroganza, forme di vittimismo, solitudine… per riuscire poi a risollevare lo sguardo. Grazie all’aiuto o allo stimolo di altri, queste donne ci hanno dimostrato di saper rimettere in circolo energie nuove e a guardare al futuro. L’invito è a guardarsi in modo diverso, ad amarsi, ad avere compassione e capire che quello che ci può succede non ce lo andiamo a cercare, non dipende necessariamente da noi. Questo è l’inizio per muovere i primi passi di resilienza".

E poi come si continua?

"Si fanno progetti, si crea qualcosa di nuovo, che dia un nuovo senso alla vita. È ciò che hanno fatto le protagoniste del libro: la mamma che ha perso un figlio ha fondato un’associazione a favore dei bambini malati; la donna costretta dal suo compagno a prostituirsi ora aiuta altre ragazze a uscire dal racket; l'architetto più volte colpita da tumori ha cambiato lavoro ed è diventata chef stellato… solo per fare qualche esempio".

Tra le storia raccontate nel libro, ce n’è una che l’ha colpito più di altre? Perché?

"Forse quella di Vittoria, perché non avevo mai conosciuto una vittima del gioco d’azzardo. Le è bastato attraversare un periodo di difficoltà per finire nel vortice delle slot machine. Una persona seria, affidabile, onesta, che ha sottratto denaro sul posto di lavoro, perdendo il posto e indebitandosi fino al collo. Ha dovuto rinunciare a tutto per riuscire a restituire il maltolto. Questa vicenda mi ha insegnato che siamo tutti vulnerabili, in fondo Vittoria è una persona assolutamente normale e quello che è capitato a lei, può succedere anche a noi".
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