Rinascimento, l’alba del nostro mondo
Lo storico Bernd Roeck ricostruisce un’epoca rivoluzionaria in cui l’Italia era un faro in EuropaPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Rinascimento. L’alba del mondo (Hoepli, 2024, pp. 1140, anche e-book) dello storico tedesco Bernd Roeck non è soltanto un’opera monumentale e affascinante su uno dei periodo più vitali e complessi della storia europea e mondiale. È un affresco maestoso e di grande respiro narrativo che per portare alla luce le radici del Rinascimento, risale al Medioevo e all’antichità, spaziando ampiamente fuori dai confini europei, passando dall’arte fiorita sotto il cielo d’Italia e gli ideali degli umanisti, alle guerre di religione e agli inizi dell’oppressione in altre parti del mondo. Il tutto in un’epoca che con le sue innovazioni non ha creato soltanto dei luoghi di bellezza e spiritualità cui guardare con nostalgia, ma anche ha gettato le basi del mondo moderno nel quale ancora viviamo.
Il Rinascimento, infatti, rappresenta il culmine di un secolo, il Quattrocento, in cui l’Europa cambiò aspetto affrontando sfide epocali per volgersi verso la modernità. La prima fu rappresentata dallo sforzo per sconfiggere la grande crisi che aveva devastato il continente europeo nella seconda metà del Trecento. Bisognava riedificare gli assetti sociali e politici, rilanciare l’economia e superare lo shock provocato dalla peste nera. Gli uomini e le donne del tempo dovettero quindi trovare le energie per immaginare un presente, e soprattutto un futuro, diversi da quello che, in un mondo segnato da malattie, fame, odi sociali e morte, aveva accompagnato la seconda parte del XIV secolo. La seconda sfida fu quella legata all’elaborazione di nuove concezioni e nuovi ideali, in un momento in cui le certezze del Medioevo stavano irrimediabilmente tramontando. L’uomo medievale aveva affidato tutto sé stesso alla religione, immaginandola come una guida capace di esprimere e spiegare l’intero mondo. Qualcosa però cominciava a sfuggire a questa concezione e gli intellettuali più avveduti non potevano fare a meno di accorgersene. La terza sfida fu quella di cercare di superare quello che per lungo tempo era stato lo spazio vitale del mondo medievale: il Mediterraneo. La caduta di Costantinopoli, la conquista ottomana di alcune regioni del continente europeo mostravano che l’Oriente era definitivamente precluso agli europei. Non vi era più il decrepito Impero di Bisanzio a controllare le rotte del Mediterraneo orientale e le vie commerciali verso l’Asia. Ora esisteva uno Stato vitale, una grande potenza navale e terrestre, un Impero che guardava all’Europa come a una preda. Per gli europei la grande sfida era puntare in altre direzioni, individuare nuove vie, strade mai percorse per uscire dal rischio di diventare marginali sul palcoscenico della storia. Infine, si poneva una quarta sfida: superare la crisi delle grandi istituzioni universali del Medioevo, la Chiesa e l’Impero, senza ritornare al passato, alla frammentazione feudale dei secoli prossimi all’anno Mille. Questa sfida politica avrebbe coinvolto in primo luogo tutte le monarchie europee. Fu dunque nel corso del Quattrocento che l’uomo europeo si apprestò ad affrontare queste sfide e a costruire un nuovo corso per l’Europa, elaborando nuovi modi di pensare, viaggiando, combattendo, ragionando, governando in modo del tutto diverso rispetto a quanto accaduto nel Medioevo.
L’uomo moderno fu, dunque, in grado di porsi al centro delle vicende storiche, di considerarsi come primo attore negli eventi e non un semplice esecutore della volontà divina, allargando a dismisura il proprio spazio, percorrendo gli oceani e superando orizzonti impensabili fino a un secolo prima. Non tutto funzionò per il meglio in questa costruzione della prima modernità. Furono commessi errori terribili e perpetrate violenze che è difficile anche solo immaginare, soprattutto contro gli abitanti del Nuovo Mondo e dell’Africa, sterminati e ridotti in schiavitù. Però, è innegabile che l’Europa alla fine del Quattrocento si presenta come un continente giovane, vitale, carico di quelle energie che l’avrebbero portata nel corso dell’età moderna a estendere la propria egemonia sull’intero globo.
E che ne era dell’Italia in tutto questo? Il paese, proprio nel Quattrocento, iniziò a registrare un ritardo nel processo di modernizzazione politica in atto in gran parte dell’Europa. Divisa nel Medioevo in Comuni e potentati al Centro Nord, controllata al Centro dal papa, governata dagli aragonesi al Sud, la penisola non riuscì a trovare una sintesi politica capace di superare antagonismi e divisioni, fatta di Stati e staterelli. Ma, se dal punto di vista dell’evoluzione politica la nostra penisola rimase una sorta di periferia rispetto al resto dell’Europa, dal punto di vista culturale e artistico essa assunse un ruolo di assoluta preminenza. Fu proprio nel nostro paese che, subito dopo la grande crisi del Trecento, cominciò ad affermarsi un nuovo modo di sentire e di intendere la vita. Gli intellettuali italiani riscoprirono nei testi degli scrittori antichi, greci e romani, un patrimonio di conoscenza e di pensiero che fu alla base della cultura dell’Umanesimo. Essi affermarono una diversa sensibilità che aveva le sue radici in un ritrovato senso di fiducia nelle capacità dell’uomo. Si posero quindi in contrasto con la visione medievale, che era invece incline a porre limiti e divieti alla natura umana e a considerare l’esistenza in funzione di Dio e della religione. Fu una spinta liberatrice del pensiero umano che giovò a tutta la cultura europea del Quattrocento e da cui sorse la splendida stagione del Rinascimento italiano. Purtroppo, questo fu il canto del cigno della nostra penisola almeno sul palcoscenico europeo.