Giusto un secolo fa, primavera del 1918. La Prima guerra mondiale sta oramai dilaniando il continente europeo da quasi quattro anni. Nelle trincee si confrontano e si uccidono milioni di soldati, mentre lontano dal fronte si fanno i conti con la sempre maggiore penuria di viveri e di mezzi di prima necessità. A complicare le cose si aggira tra gli eserciti e tra la popolazione delle città l'influenza. Febbre alta, a volte complicazioni polmonari: i morti sono molti ma non di più che per una classica epidemia influenzale in un'epoca in cui gli antipiretici non esistevano, a parte l'aspirina, e non erano ancora stati scoperti antibiotici con cui intervenire in caso di complicanze come polmoniti. Poi arriva l'estate, con le ultime grandi battaglie della Grande guerra, e l'autunno con la resa della Germania e dell'Austria. Pare il momento di festeggiare per la fine di un incubo ma improvvisamente ci si accorge che ne sta cominciando un altro, ancora peggiore: la Spagnola, la più grande pandemia che il nostro pianeta abbia mai conosciuto.

A raccontare quei giorni con il piglio narrativo della giornalista e la precisione scientifica dello storico di razza è Laura Spinney nel suo "1918, l’influenza spagnola" (Marsilio, 1918, pp. 350), saggio di grande interesse perché ci aiuta a capire non solo l'impatto avuto dalla malattia nell'immediato, ma come e quanto essa abbia contribuito a costruire il mondo in cui viviamo oggi.

Il dato di partenza della Spagnola, naturalmente, è il numero impressionate di vittime che fece in pochissimo tempo, più di cinquanta milioni tra il 1918 e il 1920.

Per capirci, fece in due anni più morti della Peste Nera del Medioevo in un secolo e nell'arco del solo autunno del 1918 uccise più persone dell'Aids in un trentennio!

Trasformò le città in luoghi spettrali, gli ospedali in lazzaretti, diede vita alle descrizioni drammatiche che ritroviamo nei Promessi sposi nelle pagine dedicate alla pestilenza di Milano nel Seicento. Uccise ricchi, poveri, sconosciuti, artisti e intellettuali del calibro di Guillaume Apollinaire, Egon Schiele e Max Weber. Si accanì, con meccanismi ancora oggi ignoti ai medici, soprattutto sui giovani nel fiore dell’età e sulle donne incinte. La Spagnola prese le sembianze dell'Apocalisse per i contemporanei.

Al di là del racconto storico, quella terribile pandemia antica di un secolo conserva un grande fondo di attualità come coglie con notevole sagacia l'autrice del libro. Inquadrandola da un punto di vista scientifico, storico, economico e culturale, l'autrice le restituisce il posto che le spetta nella storia del Novecento quale fattore in grado di dare forma al mondo moderno, influenzando la politica globale e il nostro modo di concepire la medicina, la religione, l'arte.

La Spagnola, infatti, costrinse l'umanità a interrogarsi e a fare i conti con le proprie debolezze e con i propri errori. Certo, si trattava di un virus influenzale estremamente pericoloso, derivato dagli uccelli e quindi "sconosciuto" al nostro sistema immunitario. Certo, colpì popolazioni già provate dalla guerra e prive di tanti farmaci oggi a disposizione. Però a favorire il diffondersi della pandemia fu anche la mancanza di adeguate informazioni.

Causa la guerra vigeva una stretta e ottusa censura per cui non filtravano notizie sulla malattia, non esisteva alcun coordinamento all'interno delle nazioni, né a livello internazionale. Se ci pensiamo il nome Spagnola nasce proprio dal fatto che della malattia si cominciò a parlare in Spagna, paese non in guerra e quindi privo di controllo da parte della censura.

Nel resto del mondo, in buona parte belligerante, non vennero lanciati allarmi, non ci furono politiche sanitarie comuni e si lasciarono le popolazioni in balia del "nemico". Da quell'errore sono nate le politiche mediche di respiro globale, è nata l'abitudine di scambiarsi informazioni tra i diversi stati e di mettere in atto strategie comuni.

La Spagnola mostrò inoltre apertamente i limiti della scienza e della medicina in un'epoca dominata dal culto del progresso tecnico e scientifico. La pandemia spinse gli scienziati e i ricercatori ad ampliare i campi della loro indagine tanto che, in tempi recenti, si è ricostruito il Dna del virus letale pur di poterlo studiare e poter prevenire quindi un suo possibile ritorno.

Come conclude Laura Spinney, quindi, la Spagnola fu non solo una tragedia, ma anche una grande lezione e per questo non va dimenticata. Ci ha detto che non siamo invulnerabili, che non padroneggiamo il mondo e tantomeno la natura.

Attraverso la storia della Spagnola si può tentare di immaginare il futuro: la prossima pandemia influenzale, le armi a disposizione per combatterla e i potenziali punti deboli dei nostri sistemi sanitari. Arriveremo preparati ad affrontare un'eventuale emergenza?
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