Come può essere la vita di un genio? Che cosa si muove nel cuore di un essere umano che già a cinque anni viene considerato un prodigio? Come si dipana la sua esistenza nel momento in cui la sua arte deve necessariamente convivere con la quotidianità e la necessità? Se ci pensiamo con attenzione non è assolutamente semplice rispondere a domande come queste quando si parla di grandi artisti, così come di protagonisti della storia. Li si immagina sempre intenti a rifinire un capolavoro, con il pennello in mano a dare l’ultimo magistrale tocco alla loro arte oppure intenti a dettare un discorso che cambierà il corso degli eventi. Viceversa, Edgarda Ferri scrivendo la sua personale, anzi, personalissima biografia di Wolfgang Amadeus Mozart cerca risposta proprio a domande come quelle iniziali.

Il bambino di Salisburgo” (Solferino, 2023, pp. 240, anche e-book) si rivela allora non come una biografia tradizionale, ma come una esplorazione dagli esiti inattesi. C’è la musica di Mozart, evocata costantemente, elemento che punteggia già la più tenera infanzia del piccolo Wolfi. Ci sono le tante corti d’Europa e le città che il grande compositore attraversò in una carriera che fu trentennale nonostante la morte sia arrivata all’età di 35 anni e qualche mese. Ci sono le grandezze e le infinite mediocrità di un’epoca, il Settecento, in cui un musicista, per quanto immenso, era al servizio del potente di turno ed era considerato parte integrante della servitù, ne più e ne meno di un lacchè o di un cameriere.

C’è però, finalmente perché non era stata mai raccontata in maniera così partecipe, l’intimità di Mozart, i suoi desideri, i suoi sogni, i suoi legami famigliari. C’è l’enorme macigno interiore del rapporto esclusivo con il padre Leopold, l’uomo che si appropria della grandezza del figlio, assolutamente convinto che questa grandezza debba essere asservita alle esigenze della stirpe. Non per egoismo o forse non solo, ma per una sorta di amore tossico che mette al di sopra di tutto il sangue, l’appartenenza, la dinastia, per quanto i Mozart fossero ben lontani da qualsiasi quarto di nobiltà.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Edgarda Ferri esplora il fittissimo epistolario mozartiano cogliendone l’umanità dietro le descrizioni, le emozioni nascoste dietro gli eventi, l’ironia, il dramma, l’essenza della vita stessa. Vede Wolfang come quel piccolo essere umano che nel suo intimo rimane sempre e comunque Wolfi, il bambino teso a compiacere il padre, a rimanere fedele anche quando la fedeltà implica tradire sé stesso e la propria voglia di indipendenza e di adultità. Infante, adolescente, ragazzo e uomo, il grande musicista rimane così intrappolato in una infanzia che non ha mai termine.

Inutile nasconderselo: la parte più bella e affascinante del libro di Edgarda Ferri riguarda proprio il complicato e controverso rapporto tra Mozart e il padre, un genitore che nella considerazione di Wolfgang era secondo solo a Dio come andava ripetendo spesso. È assieme al padre, trasformatosi in severo impresario, che comincia a viaggiare per le corti d’Europa – da Vienna a Parigi, da Roma a Londra – per esibirsi e per mettere a profitto il suo dono. È con il padre che per tutta la vita deve lottare per cancellare Wolfi e diventare definitivamente Wolfgang Amadeus, ma si coglie che senza il padre non sarebbe mai stato quello che noi definiamo con reverenziale rispetto “Mozart”.

Certo, il mito costò al bambino di Salisburgo i giochi, la spensieratezza, le amicizie, l’amore e persino la salute. Ma poteva essere diversamente? Tra le righe del libro emerge forte l’impressione che Wolfgang fino in fondo seguì il proprio destino, anche a se a un certo punto ruppe, quasi con un taglio netto, il cordone ombelicale che lo teneva legato al genitore. Fu considerato naturalmente un ingrato e non lo era. Voleva indipendenza, ma rimaneva un musicista alle dipendenze di qualcuno. Sperava nella libertà e nella felicità, ma anche quelle non arrivarono forse perché nella vita ogni essere umano ha diritto alla completezza di unico dono divino e Mozart aveva già avuto la musica. 

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